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Le proposte dell’Italia e la lezione di Ciampi

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Alcuni ministri finanziari condividono in privato le nostre proposte sui migranti e il patto di Stabilità, ma non sono pronti a sottoscriverle, se il primo firmatario è Roma Bisogna far emergere l’idea e poi infilarsi nella breccia



Quando era ministro del Tesoro, Carlo Azeglio Ciampi concludeva certi scambi di idee sempre con le stesse parole. Annuiva, sorrideva con saggezza e troncava il discorso: «Sì, ma non possiamo dirlo noi». Ciampi voleva dire che esistono soluzioni di politica europea preferibili a quelle dominanti, ma se l’Italia vuole farle vincere non deve esporsi. Aveva capito che ogni proposta presentata da un Paese così letargico e indebitato rischiava di finire uccisa dallo stesso sospetto che circonda il suo sponsor. Dunque la tattica preferita del ministro italiano di vent’anni fa era far avanzare le buone idee sotto insegne altrui, e poi infilarsi nella breccia. 

All’estremo opposto si trova una certa visione impersonata, molto approssimativamente, da Wolfgang Schäuble. Ecco alcune delle più recenti posizioni e uscite del ministro delle Finanze tedesco: se la Grecia non accetta tutte le condizioni imposte su di essa, incluse le più manifestamente irrealistiche e nocive, è pregata di accomodarsi fuori dall’area euro; se le banche non si disfano dei loro titoli di Stato, Berlino impedirà di completare e consolidare l’unione bancaria anche a costo di stendere un’ombra sulla stabilità finanziaria faticosamente riconquistata in Europa; e la Banca centrale europea è colpevole dell’ascesa della destra radicale in Germania semplicemente perché fa il suo mestiere: cerca di riportare l’inflazione verso livelli meno malsani.

Da un lato c’è un Paese che pensa — pensava — di dover tenere un profilo basso per non screditare le proprie idee con la propria reputazione. Dall’altro c’è il ministro delle Finanze di un Paese talmente convinto della propria credibilità da cercare di iniettarla anche dentro iniziative che, fossero venute da altri, nessuno avrebbe mai preso sul serio. La domanda che pongono gli eventi di queste settimane è se un simile teorema di politica europea resta pienamente vitale e, se non lo è, quali ne sono le conseguenze. La risposta d’istinto è chiaramente positiva: questo modello politico funziona ancora. Gli indizi in questo senso non mancano. In queste settimane alcuni ministri finanziari del «nucleo duro» dell’euro stanno confermando esattamente i vecchi sospetti di Ciampi. Condividono in privato le proposte del governo di Roma su come finanziare l’emergenza migranti o come rileggere in modo più duttile le regole di bilancio dell’area euro; ma non sono pronti a sottoscriverle, se il primo firmatario è l’Italia. Può dispiacere a noi italiani ma questa è una realtà che, come il debito pubblico, non possiamo pretendere di non vedere. 

Una seconda lettura della cronaca recente suggerisce però una realtà più complessa e in movimento. Non c’è dubbio che la Germania sia emersa come l’àncora del sistema negli anni della crisi e tale resta, come proprio ieri ha ricordato Barack Obama parlando di Angela Merkel: sono orgoglioso di essere suo amico, ha detto il presidente degli Stato Uniti, perché la Cancelliera crede in quello che fa e fa quello che dice. Eppure è meno ovvio di prima che certi errori siano accettabili solo perché li ispira il ministro di un Paese senza deficit. La presa di Schäuble sul sistema politico europeo non è mai parsa debole come in questi giorni. Erano anni che non si registrava una reazione così diffusa dei governi dell’Unione contro una sua proposta, come l’altro ieri sul caso dei titoli di Stato nei bilanci delle banche. Sulla Grecia, il Fondo monetario sta guidando una campagna del buon senso che finalmente porta un sollievo sui termini di rimborso del debito di Atene. E l’ultimo attacco del ministro delle Finanze alla Bce è stato sconfessato persino dal presidente della Bundesbank Jens Weidmann il quale poi, secondo il quotidiano tedesco Handelsblatt, avrebbe persino ricevuto per questo una telefonata di congratulazioni dalla cancelliera.

Non siamo più all’apice dello stress finanziario, quando i tassi d’interesse di un Paese dicevano tutto quel che c’è da sapere sul potere del suo ministro delle Finanze. Certe cattive idee ormai appaiono tali anche se vengono da un Paese ben governato con debito calante, disoccupazione bassa e distorsioni del sistema bancario per ora rimaste fuori dal radar europeo. Questa nuova realtà, che inizia ad emergere, può avere implicazioni ben precise: tutti accettano più di prima nell’area euro che occorre un po’ di spinta alla crescita anche dalle politiche di bilancio dei governi, perché la Bce non può più far molto per contrastare la cronica debolezza dei consumi e degli investimenti. Attorno ai vecchi dogmi incarnati da Schäuble non si sono mai avvertiti in Europa tanti dubbi come in questi ultimi giorni. 

L’errore per l’Italia adesso però sarebbe illudersi di aver vinto, o di poter già giocare un ruolo da leader europeo a parte intera. E non solo perché sono altri i governi davvero in grado di ridurre le tasse o aumentare gli investimenti pubblici in deficit. La verità è che Ciampi ha dimostrato di avere la vista lunga: un Paese fragile resta poco credibile anche nelle sue buone idee, se prima non comincia a trasformarle in crescita economica sana e sostenibile in casa propria. 

© RIPRODUZIONE RISERVATA

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