economia
L’inchiesta.
Il Pil fermo peserà sugli importi futuri L’economista Guiso: “Questo è il nostro declino”
VALENTINA CONTE
ROMA.
L’Italia è in stagnazione secolare? Non cresce, non consuma, non investe, crea sempre meno posti di lavoro stabili e di qualità. Ristagna da troppo tempo, ben prima della Grande crisi. Al punto che la crescita zero di oggi sembra non tanto il risultato di una congiuntura negativa, di un accidente passeggero dovuto a Brexit, terrorismo e migranti. Quanto piuttosto una trappola permanente, un pantano vischioso.
Ad esempio cosa succederebbe alle pensioni degli italiani se di qui all’uscita dal lavoro il Pil fosse in media inchiodato allo zero, visto che l’assegno previdenziale è legato alla crescita? Un quarto dell’importo volerebbe via, avremmo pensionati più poveri, fino a due-trecento euro in meno al mese, simula Progetica. Ipotesi dell’irrealtà? Non proprio se si guarda alla curva del Pil degli ultimi quindici anni, un sismografo della crescita quasi sempre attorno allo zero, con un paio di incursioni verso i due punti, poi le discese agli inferi della recente recessione che ne bruciano dieci e le sabbie mobili attuali. Senza pensare poi alla deflazione che zavorra il potere d’acquisto delle pensioni attuali. E ai tassi di interesse a zero o negativi che rischiano di falcidiare anche le pensioni future affidate ai fondi integrativi.
Il ministro dell’Economia Padoan crede in un contesto di stagnazione globale. Tesi cara agli americani, lanciata dall’economista Alvin Hansen negli anni Trenta per spiegare la Grande Depressione, rispolverata tre anni fa dall’ex rettore di Harvard e segretario del Tesoro con Bill Clinton presidente, Larry Summers. Ma che applicata all’Italia ha il sapore di un alibi. «Più che in stagnazione siamo in declino che è peggio », taglia corto l’economista Luigi Guiso. «Un paese che recede, perde posizioni, cresce sistematicamente meno di altri sin dagli inizi degli anni ‘90, distrugge anziché creare potenziale. Un paese che ha smesso di funzionare e non ha più idee, non riesce a governarsi, lento». E che però si arrovella sul tema pensioni, pensando di garantire e arricchire le esistenti, senza assicurare una decenza a quelle future.
Molti economisti italiani non credono all’allarme di un mondo che si ferma. Pensano che Summers guardi ancora all’America come il centro del globo. Mentre invece c’è chi va e chi no. Chi macina, alla conquista di nuovi mercati. E chi vivacchia. È pur vero che l’economia mondiale solo pochi anni fa marciava del 5% l’anno, ora ha planato sul 3% e persino il Fondo monetario vede scuro, evocando la grande bestia, la stagnazione secolare appunto. «Summers è troppo pessimista», sintetizza l’economista Giacomo Vaciago. «Il dualismo è in ogni posto, la varianza tra chi va bene e chi va male è enormemente aumentata. Mai come oggi il clima globale è molto selettivo. E il nostro meglio cresce ovunque, a volte persino in Italia. Noi siamo nel Pil altrui, questa è la verità. La crescita zero nel secondo trimestre è congiuntura. Consoliamoci, perché nel terzo avremo il segno meno. Ma il punto è un altro: l’Italia è un sistema rigido. Non siamo resilienti. Quando arriva la bufera ci spezziamo, non flettiamo per poi rimbalzare. Ecco il punto».
Paolo Mauro, economista da poco tornato all’Fmi dopo aver lavorato a lungo al Peterson Institute for International economics di Washington, crede nella stagnazione secolare:
«Siamo tutti più poveri di quanto pensassimo, non rimane che ridurre la spesa pubblica per evitare gli errori del passato. Se la crescita è più bassa e lo sarà a lungo, siamo meno in grado di raccogliere tasse e dunque dobbiamo spendere di meno. I tassi di interesse bassi aiutano ovviamente, ma potrebbero salire prima che la crescita si rinforzi».Ma come farlo senza incidere sul presente e il futuro, su salari e pensioni?
Per il giuslavorista Michele Tiraboschi siamo «in stallo per colpa della politica che non ha scelto ». E quando l’ha fatto è solo «per piccolo cabotaggio». «Abbiamo buttato venti miliardi per stabilizzare i posti di lavoro e convincere tutti che era buono aver eliminato l’articolo 18. La droga è finita, le assunzioni si sono sgonfiate». E via con la spirale perversa: meno posti, salari bassi, domanda pallida, economia ferma. E la pensione? Per chi l’avrà, magra. Se non siamo in stagnazione secolare, di sicuro rischiamo quella previdenziale.
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Si può stimare una perdita fino a 200-300 euro al mese, con un livello piatto dell’economia Summers teorizzò la stagnazione secolare, noi rischiamo anche la stagnazione previdenziale
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