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LA PAZIENZA FINITA DI SUPERMARIO

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FERDINANDO GIUGLIANO
Anche nel mondo solitamente discreto delle banche centrali, la migliore difesa può essere l’attacco. Mario Draghi lo ha dimostrato ieri, nella conferenza stampa a margine della riunione del consiglio direttivo della Banca centrale europea. Due settimane dopo essere stato accusato dal ministro delle finanze tedesco Wolfgang Schäuble di alimentare il populismo antieuropeo in Germania, il presidente della Bce ha risposto in maniera netta: «Abbiamo un mandato di raggiungere la stabilità dei prezzi per tutta l’eurozona, non solo per la Germania».
L’affermazione di Draghi è giusta nel metodo e nel merito. Le banche centrali dei Paesi più ricchi si reggono sul sacrosanto principio di indipendenza, che permette loro di agire senza doversi preoccupare dei cicli elettorali. Questo valore è tanto più importante nell’eurozona, dove la Bce deve fronteggiare gli interessi di 19 Stati membri. Anche per questo, la Bce gode di maggiore autonomia rispetto alle principali banche centrali del mondo. Francoforte decide da sola il suo obiettivo (avere un’inflazione appena sotto il 2%), invece di riceverlo dal governo, come avviene per esempio alla Banca d’Inghilterra.
Il paradosso è che l’indipendenza così forte della Bce è stata fortemente voluta dalla Germania, che temeva i politici di altri Paesi dell’eurozona potessero spingere i banchieri centrali verso politiche troppo inflazionistiche. Oggi che il rischio principale è quello di sprofondare in una fase di deflazione, è altrettanto giusto che Francoforte sia messa nelle condizioni di evitare questo pericolo. Anche Jens Weidmann e Sabine Lautenschläger, i due membri tedeschi del consiglio direttivo, hanno sostenuto ieri questo principio, come anche la cancelliera Angela Merkel.
La critica di Draghi a Schäuble è altrettanto valida dal punto di vista economico. Con un’inflazione vicina allo zero, e delle aspettative di inflazione ben al di sotto del 2%, la Bce ha il dovere di attuare delle politiche che facciano accelerare i prezzi. «Obbediamo alle leggi, non ai politici » ha detto ieri Draghi, riferendosi proprio a quel mandato di mantenere la stabilità dei prezzi che la Bce, al momento, rischia di mancare.
Le misure attuate a Francoforte in questi anni, poi, sono state calibrate in modo da non beneficiare esclusivamente alcun Paese. L’acquisto dei titoli di Stato coinvolge tutti gli Stati membri ad eccezione della Grecia, proprio per salvaguardare questo principio di simmetria. Gli acquisti da parte della Bce di obbligazioni corporate, i cui dettagli sono stati rivelati ieri, avvantaggerano principalmente le grandi aziende tedesche e francesi. Le piccole e medie imprese che prevalgono nel tessuto produttivo di Italia e Spagna verranno invece aiutate soprattutto dalle altre misure che incentiveranno le banche a prestare di più in cambio di tassi di rifinanziamento anche negativi.
Guardando avanti, la Bce sta dimostrando molta comprensione per le critiche di Berlino alla sua politica monetaria. Draghi ha ribadito come, per ora, la Bce non abbia intenzione di tagliare ulteriormente i tassi d’interesse, una misura che viene molto temuta dalle banche e assicurazioni tedesche perché sta intaccando i loro margini di profitto. I cosiddetti “helicopter drops”, la distribuzione di denaro direttamente alle famiglie da parte della banca centrale, viene derubricata da Draghi a discussione accademica, anche per placare le polemiche che quest’ipotesi sta provocando in Germania.
Nella sua storia recente, la Bce non si è sempre coperta di gloria. La crisi del debito sovrano è stata in parte una conseguenza del ritardo con cui i guardiani monetari di Francoforte si sono mossi per garantire l’irreversibilità dell’euro. In questi ultimi anni, la Bce avrebbe potuto procedere più spedita nel lanciare il “quantitative easing”, che le altre banche centrali come la US Federal Reserve e la Banca d’Inghilterra avevano adottato dai mesi successivi alla crisi del 2008. Ma in entrambi i casi, sono state proprio le riserve della Germania a impedire fossero adottate le misure più giuste per l’economia dell’eurozona.
Pertanto, quando Draghi dice, come ieri, che «con rare eccezioni, negli ultimi quattro anni, la nostra politica monetaria è stata l’unica a sostenere la crescita», la sostanza del suo discorso è corretta. La colpa, va detto, non è certo solo dei tedeschi. La Francia ha gravi ritardi nell’attuare le riforme strutturali necessarie per migliorare la sua competitività, prima di tutto per il mercato del lavoro. In Italia, il governo di Matteo Renzi ha paura nell’aggredire la spesa corrente e ha preferito i bonus per spingere i consumi agli investimenti. Ma un problema altrettanto acuto è la resistenza di Berlino a usare lo spazio concesso dal basso livello di debito pubblico per far accelerare la crescita. Il surplus monstre nella bilancia dei pagamenti, oltre l’8%, è intollerabile all’interno di un’unione monetaria, dove gli altri Stati non possono usare la svalutazione per riequilibrare gli scambi commerciali.
La ripresa in Germania è certamente più avanti che negli altri Paesi, ma la condivisione di sovranità intrinseca nella struttura dell’eurozona può richiedere politiche comuni diverse da quelle che si attuerebbero in autonomia. Bene ha fatto Draghi a ricordare a Berlino questo fondamentale principio.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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