SPETTACOLI
Il musicista è morto a 57 anni per cause naturali nella sua casa di Minneapolis
CARLO MORETTI
MINNEAPOLIS.
«È a terra, non respira più, venite a salvarlo». La chiamata al Centro medico d’emergenza di Chanhassen, in Minnesota, è arrivata intorno alle 9.45 di ieri mattina. Giunti sul posto, però, i soccorritori non hanno potuto far altro che constatare la morte di Prince trovato senza vita nell’ascensore della sua casa-studio alle porte di Minneapolis. Se ne va così, a soli 57 anni, uno dei più grandi personaggi della musica pop, «un genio», per dirla con le parole che usò Miles Davis per definirlo. Un artista amato in tutto il mondo, che dopo l’enorme successo di “1999” del 1982 aveva venduto 100 milioni di dischi e saputo reinventare la musica soul portandola oltre la dance e intercettando con grande anticipo i suoni che si sarebbero affermati nel decennio successivo. «È stata una fatalità», hanno detto gli agenti del dipartimento dello sceriffo della Contea di Carver mentre si organizzavano per avvertire i familiari. Nessunacertezza sui motivi del decesso, dopo che nei giorni scorsi il folletto di Minneapolis aveva dovuto cancellare due date.
Provocatore, irriverente è stato il genio ribelle che ha cambiato il pop
VENERDÌ scorso, all’una del mattino, dopo aver tenuto un concerto del tour piano-solo ad Atlanta, Prince era atterrato d’emergenza con il suo aereo privato a Moline, in Illinois. Le condizioni del folletto di Minneapolis, da giorni alle prese con quella che il suo addetto stampa avrebbe poi definito «una brutta influenza», a bordo del suo jet erano molto peggiorate e per il musicista s’era reso necessario un ricovero d’urgenza. Dopo tre ore, però, era stato dimesso dall’ospedale. Il giorno dopo, a sorpresa, s’era ripresentato sul piccolo palco nella casa-studio di Paisley Park alle porte di Minneapolis: l’aveva fatto allo scopo di tranquillizzare i fan, un folto gruppo di fedelissimi che animavano le sue feste-concerto a tema con ingresso a dieci dollari. In quell’occasione aveva solo suonato il pianoforte e mostrato le solite meraviglie su una nuova chitarra, evitando però di cantare: «Aspettate ancora qualche giorno prima di sprecare le vostre preghiere», aveva avvertito Prince prendendo il microfono.
A Paisley Park, due grandi capannoni alla periferia di Minneapolis in cui nessuno avrebbe potuto immaginare quei tre spettacolari studi di registrazione e due grandi sale da concerto, eravamo stati invitati insieme a una manciata di altri giornalisti europei proprio per la presentazione del tour “Prince Spotlight: A piano & a Microphone tour”. Un appuntamento al buio in cui Prince avrebbe annunciato il suo ennesimo cambio di rotta musicale, in cui avrebbe staccato la spina elettrica alla sua musica e affidato le sue canzoni al pianoforte per eseguirle nude, nella loro fiammante bellezza, con il solo ausilio dell’inconfondibile voce di acuti e falsetti.
Dopo un’estenuante caccia al tesoro fatta di mail e smentite, ci aveva ammesso con divieto di registrare e di filmare l’intervista in quella sorta di parco-giochi per tutti gli amanti della musica in cui il suo genio artistico si raccontava ad ogni angolo: disseminati su una superficie di 5 mila metri quadrati, una sala relax molto hippie e psichedelica, un grande murales con Prince circondato dai musicisti delle sue band e dai suoi miti passati e viventi: James Brown, Miles Davis, Santana, Otis Redding; due spazi dedicati ai memorabilia con i vestiti di scena e la moto Honda utilizzata nel film Purple rain. Su tutto dominava il viola in tutte le sue gradazioni: alle pareti, sul velluto dei divani e delle poltrone. Appeso al soffitto, esposto alle pareti, tornava il simbolo impronunciabile che racchiudeva l’elemento maschile e femminile adottato nel periodo della sua lunga lotta contro le case discografiche negli anni Novanta: «Clive Davis una volta mi ha detto: “nessuno ha pensato di farti fare i soldi con i dischi”», ci raccontò ad un certo punto, «se vuoi farli devi andare in tour: questo è il modo in cui ragionano i discografici». Una considerazione che in quegli anni lo portò a scriversi la parola schiavo sulla guancia durante le sue esibizioni dal vivo.
Prince Rogers Nelson aveva in programma di tenere 16 date di quel tour in Europa, e in Italia sarebbe venuto al Teatro degli Arcimboldi il 15 dicembre. Ma poi ci furono gli attacchi terroristici di Parigi con la strage al Bataclan e il progetto sfumò. «Ero in contatto con il suo manager per portarlo a Lucca questa estate» dice Mimmo D’alessandro, l’organizzatore del tour sfumato. «Prince stava pensando di partecipare anche al Festival jazz di Montreaux, ci saremmo risentiti domani sera con il manager, per me è stata una notizia tremenda e improvvisa».
Quel giorno a Paisley Park, la serata s’era chiusa con un pigiama party fino a notte fonda. Prince s’era affacciato solo un attimo, il fisico minuto e l’ampia acconciatura afro, i pantaloni a campana e la maglietta bianchi, le infradito con la zeppa e anche i calzini. Poi era scomparso dietro le quinte.
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SUL PALCO
Vero animale da palcoscenico, l’ultimo concerto di Prince è stato sabato 16 aprile, il giorno dopo un atterraggio d’emergenza per un malore “Aspettate con le vostre preghiere”, aveva rassicurato i fan
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L’INTERVISTA
L’11 novembre dello scorso anno la nostra ultima intervista a Prince Un incontro avvenuto proprio nella casa-studio dove l’artista è morto ieri