LA CORSA alLA CASA BIANCA
Le primarie.
The Donald cambia stile per compiacere l’establishment repubblicano in vista della convention
FEDERICO RAMPINI
LA GUERRA CON CRUZ
LA GUERRA CON CRUZ
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE
NEW YORK.
“You are fired!”. La celebre frase che Donald Trump urlava ai concorrenti eliminati nello show televisivo
The Apprentice, adesso incombe sui suoi consiglieri. Sei licenziato! Inizia così la Grande Metamorfosi, nuovo colpo di scena nell’avventura politica di The Donald. Accelerata dal trionfo nella primaria casalinga di New York, è la conferma di una dote che i suoi amici gli conoscono da tempo: Trump è un camaleonte. La versione 2.0 che sta adottando, lo presenta più moderato, rassicurante, presidenziale. Per placare le ansie dell’establishment repubblicano. Per siglare una pace coi vertici del partito in vista della convention. E per ridurre l’alta percentuale di elettori ed elettrici ostili, in vista della sfida finale con Hillary. Contrordine su tutta la linea, ora Trump licenzia fedelissimi e assume vecchie volpi della politica, recluta lobbisti, si fa scrivere discorsi, legge dal teleprompter. Abbandona la tradizionale tirchieria e accetta di spendere 20 milioni di tasca sua per le primarie in Pennsylvania tra una settimana, poi Indiana, infine California. Un cambiamento a 360 gradi. O quasi.
“You are fired!”. La vittima più illustre finora è Stuart Jolly, direttore delle sue operazioni sul terreno, regista organizzativo e logistico della campagna elettorale. «Avevamo una formula vincente », ha scritto con rimpianto nella lettera di dimissioni in cui prende atto del nuovo corso. Jolly era un uomo del clan di Corey Lewandowski, fino a ieri potentissimo campaign manager, la cui influenza rimpicciolisce di ora in ora. Il nuovo uomo forte, assunto di recente, è Paul Manafort. Guarda caso, un veterano della politica che ha lavorato nelle convention repubblicane per Gerald Ford, George Bush padre, Bob Dole. (È anche stato consulente di Vladimir Putin). Attenzione all’anagrafe. Lewandowski, caduto in disgrazia, ha 42 anni. L’astro nascente Manafort ne ha 67. È il ritorno in auge dei vecchi mestieranti della politica. Un ricambio non solo di personale, ma di filosofia. Dopo essersi vantato di fare una campagna «da outsider, contro l’establishment che mi odia, contro i politici corrotti di Washington», ecco The Donald intento ad assumere proprio quel personale. Manafort a sua volta ha reclutato due vecchie volpi del sottobosco repubblicano, Rick Wiley e William Mc-Ginley. Missione: tranquillizzare le lobby e le correnti del partito, portare ramoscelli d’ulivo ai notabili del Senato e del Congresso, offrire posti in un futuro esecutivo Trump. Hanno avvicinato anche Colin Powell, l’ex segretario di Stato di George W. Bush. Insomma l’annuncio è chiaro: “Open for Business”, siamo aperti a fare affari assieme. L’insurrezione è finita, le grandi manovre fervono per riconciliare Trump con chi gli ha fatto guerra finora.
The Donald è fatto così, da sempre. Michael Kruse in un’inchiesta per Politico Magazine, e un reportage di BuzzFeed, ricordano questa costante della sua vita: Trump è un uomo per tutte le stagioni, capace di cambiare amici, opinioni politiche, immagine personale, a seconda delle opportunità. Dopo aver vinto più di venti primarie, ma senza agguantare la maggioranza assoluta di delegati, il suo problema oggi è farsi accettare, scongiurare le trame dell’establishment che vuole scippargli la nomination alla convention di Cleveland a luglio.
Nel tono e nello stile, la Grande Metamorfosi si è vista in diretta la sera di martedì a New York. Dopo avere stracciato i rivali, con il 60% dei voti e la quasi totalità dei delegati, Trump ha fatto un discorso breve e sobrio. Ha parlato del “senatore Ted Cruz” invece di chiamarlo come al solito “Bugiardo Cruz”. I suoi tweet si stanno diradando. Non appare in un talkshow da giorni, lui che ne faceva maratone quotidiane. Ha annunciato che terrà un discorso programmatico di politica estera, ma seguirà un testo scritto da altri usando il teleprompter (il leggìo elettronico per il quale lui sbeffeggiava Obama). Prima del prossimo Supermartedì del Nord-Est (Pennsylvania, Maryland, Rhode Island, Connecticut, Delaware) tira fuori 20 milioni, lui che finora contava su pubblicità gratuita grazie alle sue “sparate” in tv. Una spacconata gli sfugge lo stesso: «Per comprare i delegati della convention ho i giocattoli più belli. Li faccio viaggiare sul mio Boeing, li porto in Florida nei miei resort, club di golf e beauty spa». I media di destra sono affascinati dalla Grande Metamorfosi. Il Washington Post si chiede se non sia “troppo poco e troppo tardi” per sgonfiare l’immenso serbatoio di ostilità nell’elettorato.
©RIPRODUZIONE RISERVATA