La sfida è da un lato concedere maggiore autonomia in modo da promuovere flessibilità, sperimentazione, responsabilità, e dall’altro evitare di produrre disparità di diritti fra cittadini
Sull’autonomia differenziata si è alzato il consueto polverone. Le opposizioni denunciano la «secessione dei ricchi», il governo risponde che l’autonomia porterà vantaggi per tutti. Si tratta di slogan astratti, che trattano la questione come se fosse uno strappo inatteso (nel male e nel bene) rispetto al passato. Dimenticando così due fatti fondamentali. Primo: l’autonomia differenziata è prevista e disciplinata dalla Costituzione, a seguito della riforma adottata dalla maggioranza di centro-sinistra nel 2000. Secondo: l’attuazione di questo principio è iniziata nel 2017, con la richiesta di trasferimento dei poteri in varie materie da parte di Lombardia, Veneto ed Emilia-Romagna e la successiva definizione di accordi preliminari con il governo Gentiloni nel febbraio 2018.
Dunque perché gridare oggi al lupo? E perché, da parte del governo, esultare per un disegno di legge che ripropone punti spinosi già sollevati e non risolti dai governi precedenti: Conte 1, Conte 2 e Draghi? La polarizzazione del confronto può dare visibilità elettorale, ma certo non contribuisce a realizzare in modo efficace quel regionalismo «asimmetrico» che, seppur con accenti diversi, è sempre stato sostenuto dai principali partiti.