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La partita finale di Putin che brucia tutti i ponti

Kiev, noi, la Russia 

La partita

finale

di Putin

di Danilo Taino


Vladimir Putin si è bruciato i ponti dietro le spalle. Ancora nei giorni scorsi ha minacciato con toni violenti l’Occidente e ha così segnalato che non ci sono spazi di tregua in Ucraina, nessuna mediazione è possibile: è pronto a tutto pur di vincere. Continua a massacrare il Paese invaso e pare pronto a lanciare una nuova, massiccia offensiva. Si gioca tutto, difficilmente potrà tornare indietro. Nella guerra che ha lanciato, le possibilità di cessate il fuoco, che sono sempre state meno che tenui, ora tendono allo zero. Lentamente, Stati Uniti ed Europa stanno prendendo atto della situazione. La «guerra d’attrito» sarà probabilmente lunga e lunga sarà la minaccia della Russia nel continente. È un passaggio per il quale occorre essere preparati.

Se, quasi un anno dopo l’invasione, c’era bisogno di una voce autorevole che segnalasse com’è evoluta la situazione, questa si è levata nei giorni scorsi. Henry Kissinger, l’ascoltatissimo statista americano, ha spiegato che la realtà è cambiata e di conseguenza anch’egli ha cambiato opinione: finora pensava che l’Ucraina dovesse scegliere di essere un Paese neutrale, fuori da ogni alleanza; ora dice che se entrasse nella Nato ciò sarebbe «un esito appropriato» di quanto sta accadendo. La presa di posizione dell’ex segretario di Stato del presidente Richard Nixon non è significativa tanto per la possibilità che Kiev entri nell’Alleanza atlantica, cosa che non può accadere finché c’è guerra.

La presa di posizione è significativa per il fatto che il principe dei sostenitori della Realpolitik pensa che non ci siano più alternative, che l’opzione Nato sia l’ultima rimasta. In effetti, possibilità di accordi sono in ritirata.

La distruzione dell’Ucraina è arrivata al punto di consentire sempre meno margini di intesa: migliaia di morti militari e civili, donne e uomini torturati, stupri, infrastrutture annientate, economia fatta a pezzi, bambini rapiti, esodi di massa. Dopo tutto ciò, strette di mano sono difficili da immaginare: inevitabili, anzi, processi internazionali per crimini di guerra allo zar del Cremlino e alla sua corte. Putin stesso sa che la strada per tornare sui suoi passi si sta chiudendo, l’ha distrutta egli stesso e non gli resta che giocare tutto ciò che ha. Alza ulteriormente la retorica minacciosa verso l’Occidente. Nel frattempo, prepara nuovi assalti gettando sul terreno i suoi soldati-carne da cannone, che sta ammassando alla frontiera con l’Ucraina. Incoraggiato da qualche recente avanzata delle truppe della sua armata. Al mondo annuncia una visita del presidente cinese Xi Jinping a Mosca: non si sa se ci sarà, ma intanto cerca di non apparire isolato. Con l’inverno, insomma, l’invasione è entrata in una nuova fase: quella in cui Putin raddoppia e annienta gli spazi di trattativa (almeno per i prossimi mesi).

Gli Stati Uniti danno segno di avere realizzato la nuova aggressività russa. Continuano a mandare armi, ne promettono di migliori, premono sugli alleati europei perché facciano lo stesso. Anche nell’Unione europea il senso di urgenza nell’aiutare Kiev sta crescendo. Il presidente francese Emmanuel Macron sembra avere abbandonato la convinzione che con Putin si possano cercare spiragli di dialogo: due giorni fa ha addirittura detto che, se Kiev lo chiederà ufficialmente, Parigi potrebbe inviare ai combattenti ucraini anche jet da combattimento; non è più un tabù, dicono nella capitale francese. Pur tra mille esitazioni, il cancelliere tedesco Olaf Scholz si è deciso a inviare nel Paese aggredito i carrarmati Leopard 1 e Leopard 2, anche se poi dice di non volere mandare aerei da combattimento. Tra un po’, forse lo farà. Anche l’Italia ha ribadito l’impegno a consegnare più armi. E Londra spedirà a Kiev i suoi tank Challenger 2 entro marzo.

Non è detto che a Bruxelles e in alcune capitali della Ue il nuovo senso di urgenza sia condiviso pienamente. Nei giorni scorsi, alcuni diplomatici europei hanno sollevato dubbi sulla possibilità di un accesso veloce dell’Ucraina nella Ue: per ragioni tecniche, hanno detto. In questo momento, sarebbe probabilmente più importante comunicare a Kiev e al mondo che il Paese aggredito avrà un trattamento preferenziale nel processo di adesione, così come era successo mesi fa anche con la spinta di Mario Draghi. I leader della Ue, però, ieri sono stati nella capitale ucraina e hanno dato rassicurazioni a Volodymyr Zelensky sulla volontà di aprire le porte della comunità. Zelensky ha chiesto di fare in fretta: ribadisce che ora la Russia sta «concentrando forze e si sta preparando a vendicarsi, non solo contro l’Ucraina ma anche contro la libera Europa».

Il passaggio è delicato e pericoloso. L’Occidente non deve cadere nella trappola e dare l’idea di muovere guerra a Mosca. Chiacchiere del genere vanno lasciate alla retorica di Putin e ai suoi vaneggiamenti sull’arma nucleare. Si tratta di frenare dal punto di vista militare e da quello politico-diplomatico l’aggressività russa, adeguandosi alla nuova situazione. E lasciare — come raccomanda Kissinger — una porta aperta alla Russia del futuro per essere parte, se lo vorrà, della comunità internazionale. Nel 2023, Putin sta azzerando le alternative.



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