EDITORIALE
Le uniche risposte formulate sin qui agli estremismi antirazzisti fanno uso di argomentiliberali, di destra o di sinistra. Ma così viene elusa una sfida che invece dobbiamo raccogliere
di Adriano Scianca
Da quando non c'è più Donald Trump alla Casa Bianca e, relativamente all'Italia, Matteo Salvini al Viminale, improvvisamente c'è tutta un'opinione pubblica liberal-riformista e progressista che si è resa conto della deriva intollerante presa da certa sinistra a trazione americana. Fenomeni come la cancel culture, l'ideologia intersezionale, il fondamentalismo politicamente corretto diventano ora materia di discussione anche in alcuni circoli dei buoni. L'impressione è che se ne fossero accorti anche prima ma, per non rischiare l'accusa di intelligenza col nemico, facessero finta di niente. Fatto sta che da varie voci liberal comincia a trasparire una certa insofferenza verso gli estremismi intersezionali.
Ora, si potrebbe dire: che avvenga presto o tardi, in buona o in cattiva fede, più persone si oppongono a certe follie, meglio è, no? In parte questo è vero. Il punto, tuttavia, è che le risposte dei liberali di sinistra alla cancel culture sono del tutto inservibili, tanto quanto lo sono quelle dei liberali di destra, che poi, insieme, esauriscono la totalità delle soluzioni formulate sin qui. Agli invasati dei campus americani, la sinistra oppone sostanzialmente argomenti formali: il dibattito ordinato, la tolleranza, la logica della complessità. La destra oppone invece argomenti sostanziali: la difesa di quei «valori occidentali›› bianchi, cristiani, patriarcali, imperialisti etc. che la nuova sinistra contesta.
Entrambi i dispositivi teorici, tuttavia, appaiono completamente fuori tempo. Opporre i «valori tradizionali» o la «tolleranza liberale›› alla cancel culture è un po' come invocare la saggezza delle vecchie diplomazie subito dopo l'attentato di Sarajevo o i valori del garantisrno carcerario nelle prigioni ucraìne dell'Nkvd. Sono meccanismi che non scattano più, pratiche superate da salti di qualità che qualcuno deve essersi perso.
Quando avviene una sfida politica e culturale in grande stile, si può rispondere efficacemente solo ponendosi sul nuovo livello dello scontro.
Cultura della cancellazione e intersezionalità politicizzano la nostra storia, la nostra pelle, i nostri crornosomi, tutti i livelli della nostra identità. Ci mostrano che tutte quelle che consideriamo ovvietà sono in realtà stratificazioni di ideologie.
Ovviamente lo fanno distorcendo e colpevolizzando. Ma se dobbiamo rispedire al mittente la colpevolizzazione, la politicizzazione radicale deve invece essere raccolta. La reazione di molti bravi borghesi bianchi progressisti che si sentono rispondere sui social «non puoi parlare perché sei bianco» è di stupore: non sapevano di esserlo. Credevano all'universalismo, all'Uomo con la u maiuscola, che per pura casualità assomigliava proprio a loro. Si ritenevano portatori della storia dell'urnanità, ora arrivano delle attiviste con i capelli viola a dire loro che sono portatori di una storia particolare. Chi abbia una mentalità rivoluzionaria capirà al volo le potenzialità identitarie di questa fase. Gli altri costruiranno barricate contro i barbari alle porte. E perderanno. I barbari vincono sempre.