FACT CHECKING COSENTINO
PENDENZE. L’EX SOTTOSEGRETARIO HA ANCORA UNA CONDANNA IN PRIMO GRADO PER CONCORSO ESTERNO A 9 ANNI E UNA DEFINITIVA PER CORRUZIONE
di Vincenzo Iurillo
Fa bene Nicola Cosentino ad esultare per la seconda assoluzione in Appello, dopo due pesanti condanne in primo grado, da accuse varie di complicità con il clan dei Casalesi che si trascinavano da quasi dieci anni intorno a un centro commerciale mai realizzato a Casal di Principe.È giusto, legittimo e umano. Fanno meno bene i cosentiniani e gli amici dell’ex sottosegretario di Berlusconi a provare a dipingerlo come una vittima “di un uso politico della giustizia” (Annamaria Bernini, capogruppo di Forza Italia al Senato), e di “gogne mediatiche, sbattuto in un tritacarne giudiziario, letteralmente massacrato ed emarginato” (Amedeo Laboccetta, ex parlamentare Pdl). Non rendono un buon servizio alla gioia, tutto sommato composta, di Cosentino che dopo il verdetto che ha cassato una condanna di cinque anni e mezzo, ha lamentato “nove anni di inferno” e si è detto felice “per la fine di un incubo”. Parole che chiunque di noi avrebbe pronunciato al suo posto. Ma quando Bernini posta sui social che Cosentino “è stato assolto in appello da tutte le accuse di collusione con la camorra” scrive una cosa inesatta. La situazione giudiziaria dell’ex coordinatore campano di Forza Italia è ancora aperta e il bilancio complessivo non è affatto positivo. Il 28 ottobre infatti riprenderà il processo di secondo grado della madre di tutte le inchieste che lo riguardano. È l’appello alla condanna del Tribunale di Santa Maria Capua Vetere a nove anni di reclusione per concorso esterno in associazione camorristica. Una sentenza dell’autunno 2016 arrivata al termine di 141 udienze iniziate nel 2011, durante le quali sono stati ascoltati circa 110 testimoni, di cui 16 collaboratori di giustizia collegati in videoconferenza da luoghi protetti, tra cui l’ex reggente del clan Bidognetti Luigi Guida, Gaetano Vassallo, Anna Carrino, Franco Di Bona, ha messo nero su bianco che Cosentino fu il “referente politico nazionale” del clan.
Furono sentiti anche alcuni tra i leader della politica campana e nazionale, tra cui l’ex governatore della Campania Antonio Bassolino, in aula nel febbraio 2012 per rispondere a domande sulla gestione del commissariato per l’emergenza rifiuti. Il tutto è stato trasfuso in 648 pagine di motivazioni tra le quali spicca un passaggio chiave: le “specifiche risultanze probatorie – nonostante la difficoltà di ricostruire i fatti per il tempo decorso – sono particolarmente ricche e indicano il sostegno elettorale offerto all’imputato (Cosentino, ndr), sia dal gruppo Bidognetti, sia dal gruppo Schiavone”. Secondo i giudici “l’esito della verifica probatoria ex post non consente di dubitare che l’imputato abbia offerto un contributo concreto, specifico, consapevole e volontario e casualmente efficiente al rafforzamento delle capacità operative del sodalizio (il clan dei Casalesi, ndr). Tale contributo si desume già dalle dichiarazioni dei collaboratori di giustizia riferibili a epoca successiva al 1995 (le elezioni regionali, ndr) che indicano nel Cosentino un sicuro e affidabile riferimento politico e un punto di forza del clan”.
Per carità, la sentenza non è definitiva e gli avvocati di Cosentino, Agostino De Caro e Stefano Montone, forti anche delle ultime due pronunce favorevoli, che minano la solidità delle presunte collusioni tra l’ex sottosegretario e la camorra, sono fiduciosi di avere ottimi argomenti per cancellarla. Ma fino ad allora le accuse più pesanti restano in piedi.
Altra lamentela ricorrente tra i cosentiniani: il presunto eccesso di carcerazione preventiva. Cosentino, perso nel 2013 lo scudo parlamentare, ha trascorso quattro anni tra prigioni e domiciliari. Un bonus che però si è giocato con la condanna, definitiva, a 4 anni per la corruzione di agenti di polizia penitenziaria che ne gestivano la custodia cautelare nel 2014 e gli concessero beni e favori di nascosto. Quella volta Cosentino era in cella per accuse di estorsione aggravata nell’inchiesta sul business dei carburanti nel Casertano. Condannato a 7 anni e 6 mesi in primo grado, Cosentino è stato assolto in appello e in Cassazione. Lo misero in galera per reati rivelatisi infondati, e qui ne avrebbe commessi altri, accertati. Una beffa. Ognuno ne tragga le riflessioni che crede.