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Oggi l’ultimatum di Conte: “Trattativa con la Ue o lascio”

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Il premier vuole un mandato a discutere con Bruxelles, se no "non sarò io a firmare la procedura d'infrazione". Ma così esclude la flat tax
Sarà un vero e proprio ultimatum, quello che Giuseppe Conte affiderà questo pomeriggio alle telecamere. Dopo le 17 e a mercati chiusi, per ammortizzare l'effetto destabilizzante di una sfida diretta a Salvini e Di Maio. "Sono disposto ad andare avanti, ma non con un governo in agonia", sosterrà. Di più: il premier ricorderà ai suoi due vice i mesi "difficili" che attendono l'Italia. E sgancerà infine la bomba: "Devo avere i margini per trattare con l'Europa - questo il senso del suo ragionamento, secondo diverse fonti - perché non sarò io il primo presidente del Consiglio a mettere la firma su un'eventuale procedura d'infrazione dell'Italia per debito. Devo pensare al bene del Paese".

La svolta è maturata nelle ultime ore, prontamente comunicata anche ai vertici istituzionali. Decisiva, per l'avvocato, è stata l'incredibile gazzarra sulla lettera di risposta all'Europa, bruciata da una "manina" assieme alla credibilità già ridotta di Roma sui mercati.

Conte sa bene che il suo governo è appeso a un filo. Che non resta altra strada che certificarne la crisi di fatto, pur restando almeno per il momento a Palazzo Chigi. E che l'unica mossa sensata è rilanciare, rilanciare con decisione, sperando di riavviare un motore che Salvini ha deciso di rottamare. Come? Fissando paletti sul terreno più delicato: quello dei conti pubblici e dell'Europa.

È una scelta quasi obbligata. Le prossime settimane, di questo c'è piena consapevolezza a Palazzo Chigi, metteranno a rischio la tenuta del Paese. I gialloverdi hanno di fronte poco più di un mese per evitare la conferma della procedura d'infrazione - che dopodomani sarà lanciata dall'Ue - e il conseguente assalto della speculazione. Conte ha già metabolizzato la necessità di varare una manovra correttiva, l'unico argine alla sanzione continentale. E sa bene, perché con la Commissione ha già trattato lo scorso autunno per la legge di bilancio, che soltanto sedendosi al tavolo con un mandato pieno sarà possibile ridurre la portata della "correzione". Ma non basta.

Soltanto seguendo il metodo del dialogo con Bruxelles, il premier potrà poi affrontare la sfida decisiva, quella sulla legge di bilancio. Perché è chiaro che chiedendo margini per trattare oggi con l'Europa, Conte esclude per domani una riforma della flat tax in deficit che terremoterebbe i conti del Paese. Di questo oggi non parlerà, ovviamente, ma il messaggio sarà comunque chiarissimo al ministro dell'Interno.

Non è detto che il format scelto dalla comunicazione del premier sarà quello della conferenza stampa. Forse si tratterà di un messaggio pubblico, senza domande. Di certo, il presidente del Consiglio doserà come sempre virgole e aggettivi. E sarà inevitabilmente influenzato anche dal giudizio delle Borse, che stamane "comunicheranno" con l'arma classica, lo spread, quanto è costato il pasticcio attorno alla missiva indirizzata alla Commissione. Ma è evidente che Conte dovrà mettere sul piatto la sopravvivenza stessa dell'esecutivo per ottenere una risposta convincente dai suoi due vice.

"All'Italia - continua a ripetere alla vigilia del gran giorno - serve un premier in grado di trattare e un governo stabile. Andremo avanti, ma solo a patto che ci siano le condizioni per farlo".

Il precipizio gialloverde è insomma a un passo. Ma se c'è una circostanza che ha sorpreso i collaboratori del presidente del Consiglio, negli ultimi giorni, è l'assoluto disincanto con cui il capo del governo segue passaggi così travagliati. Una volta deciso di parlare agli italiani, infatti, Conte si è come liberato da un peso.

Ha accettato di esporsi, l'unica strada per la sopravvivenza. E in fondo gli ultimi sette giorni, consacrati a un silenzio prudente, non hanno fatto altro che confermargli l'impraticabilità di una strategia alternativa a quella del rilancio pubblico. Si rivolgerà direttamente ai due litiganti, chiedendo di abbandonare la campagna elettorale permanente. A Salvini, questo è scontato. Ma anche a Di Maio, che continua a valutare anche lo strappo pur di sottrarsi al massacro mediatico in corso. Se non dovesse ottenere risposte adeguate, il premier formalizzerà la crisi. Non subito, anche perché per svolgere elezioni anticipate a settembre bisogna arrivare fino a luglio inoltrato prima di sciogliere le Camere.

Questo il copione, con un esito che sembra ormai già scritto. Conte proverà da oggi, disperatamente, a cambiarne il finale.

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