La norma, brandita come una spada da Salvini per affermare una concezione privatistica della sicurezza, gli si è ritorta contro. Una sentenza ha affermato che è legittima la difesa destinata a tutelare il primo dei diritti umani: quello alla vita
DI LUIGI MANCONI
Per un malizioso paradosso della storia, la norma sulla legittima difesa, brandita come una spada fiammeggiante dal ministro dell'Interno per affermare una concezione privatistica e proprietaria della sicurezza, gli si è ritorta contro. Una sentenza del 23 maggio scorso del Tribunale di Trapani ha affermato che è legittima la difesa destinata a tutelare il primo e fondamentale dei diritti umani: quello alla vita, quando essa è minacciata da un potere dispotico, dai suoi apparati armati e dai suoi istituti di privazione della libertà.
Un passo indietro. L'8 luglio del 2018, 67 tra migranti e profughi vengono soccorsi nel Mar Mediterraneo dalla motonave italiana Vos Thalassa, che si dirige verso la Libia per "restituirli" nelle mani di coloro dai quali sono fuggiti. I naufraghi, tuttavia, impongono un cambiamento di rotta verso le coste italiane, sono raccolti dal pattugliatore Diciotti e avviati al porto di Trapani, dove dovranno aspettare cinque giorni prima che sia loro consentito lo sbarco. Il ghanese Ibrahim Amid, 27 anni, e il sudanese Ibrahim Tijani Busharano, 32 anni, indicati come capi "dell'ammutinamento", vengono arrestati e portati nel carcere di Trapani, accusati di "violenza, minaccia e resistenza aggravata a pubblico ufficiale" e di "favoreggiamento dell'immigrazione clandestina".
Dieci giorni fa, il giudice dell'Udienza preliminare del Tribunale di Trapani, Piero Grillo, ha emesso una sentenza nella quale si afferma che "il fatto non costituisce reato" e ha mandato assolti Ibrahim Amid e Ibrahim Tijani Busharano, ordinandone la scarcerazione immediata. La sentenza è di elementare e assoluta ragionevolezza: e segna, oggi più che mai, un passaggio importante nella storia materiale dei diritti umani e del loro faticoso combattimento per la sopravvivenza (un vero e proprio corpo a corpo) in un mondo ostile.
Il procedimento ha seguito un iter complesso. Su richiesta del pm, il giudice per le Indagini preliminari aveva ritenuto sussistenti i gravi indizi di colpevolezza e l'ordinanza di custodia cautelare veniva confermata dal Tribunale del riesame di Palermo. Poi, il 23 maggio, l'udienza per il rito abbreviato, richiesto dagli imputati, ha un esito tutt'affatto diverso. Come si è detto, il gup assolve gli imputati, ritenendo sussistente la legittima difesa. Attendiamo di leggere le motivazioni, come usa dire, ma da quanto si può sapere e dedurre viene ribadito un principio essenziale: di fronte al pericolo rappresentato dalla consegna a un regime liberticida resistere è legittimo. Di più, è un diritto. E dovrebbe essere superfluo ricordare che la non ottemperanza a un ordine ingiusto è parte integrante del processo di formazione del diritto moderno e ne costituisce una delle leggi per così dire "sacre".
Alla luce di queste, e della loro trascrizione nei codici, va considerata la questione della natura legittima o illegittima della difesa nei confronti di un pericolo quale quello rappresentato per i profughi dal ritorno coatto in Libia. Così, dopo i dettagliati rapporti delle Nazioni Unite e degli organismi indipendenti, dopo le decine e decine di reportage e testimonianze, raccolte laddove si consumano le crudeltà più efferate, oggi è un giudice italiano ad affermare, con la forza di una sentenza, che la Libia non è un luogo sicuro. Fuggirne è, dunque, giusto.
Parallelamente, è stato attivato un altro procedimento presso la Corte europea dei Diritti umani, che già ha dichiarato l'ammissibilità di un ricorso presentato dagli avvocati Marina Mori e Paolo Oddi. Sulla base di una consolidata giurisprudenza della Corte, si è sollevata la questione della pesante interferenza a opera di autorità pubbliche, che potrebbe condizionare la regolarità del "giusto processo" sui fatti del luglio 2018 e la loro valutazione da parte dell'opinione pubblica. Già prima che i naufraghi sbarcassero in Italia, i ministri Salvini e Toninelli sbraitavano contro "i facinorosi" e "i violenti dirottatori", che "dovevano scendere in manette" ed essere "puniti senza sconti". Un'interpretazione davvero strampalata del principio costituzionale della presunzione di innocenza e una rivendicazione tracotante del garantismo per censo.