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Di Maio e Salvini di nuovo contro i tecnici “Numeri sbagliati, il pasticcio è loro”

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POLITICA
Il retroscena
La war room di via XX Settembre

ANNALISA CUZZOCREA,
ROMA
La war room della “manovra del cambiamento” è al primo piano del ministero dell’Economia: via XX settembre, Roma, la sede di ogni sospetto. Lì sono praticamente rinchiusi da 36 ore i 5 stelle Laura Castelli e Riccardo Fraccaro e il leghista Massimo Garavaglia. E lì, nella notte tra giovedì e venerdì, è scoppiata una nuova emergenza. Comunicata subito dal ministro per i Rapporti con il Parlamento al presidente del Consiglio Giuseppe Conte, “manovra del cambiamento” è al primo piano del ministero dell’Economia: via XX settembre, Roma, la sede di ogni sospetto. Lì sono praticamente rinchiusi da 36 ore i 5 stelle Laura Castelli e Riccardo Fraccaro e il leghista Massimo Garavaglia. E lì, nella notte tra giovedì e venerdì, è scoppiata una nuova emergenza. Comunicata subito dal ministro per i Rapporti con il Parlamento al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ai vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che si sono incontrati al mattino, in un vertice di emergenza segreto, per cercare di capire cosa stia succedendo. E come fare a uscirne in tempo.
La Ragioneria dello Stato — la stessa che aveva sollevato dubbi sul “saldo e stralcio” mandando su tutte le furie il ministro dell’Interno — aveva allegato alla legge di Bilancio una relazione tecnica che il governo aveva bocciato. Secondo quei dati, la finestra pensionistica di uscita a quota 100 per la Pubblica amministrazione sarebbe dovuta scattare a ottobre, e non — come pretendono i giallo-verdi — a 6 mesi dall’entrata in vigore della legge che attuerà la revisione della legge Fornero, quindi in estate, se si seguissero i tempi previsti.
Sembrerebbe poco, se fosse una svista. Ma secondo Di Maio e Salvini non lo è: «Il Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco — racconta una fonte interna all’esecutivo — ha scelto deliberatamente la relazione che avevamo scartato, firmata da Tito Boeri. E l’ha inserita contravvenendo a quanto avevamo deciso». La querelle tra Salvini e il presidente Inps è cosa nota, fatta a colpi di tweet e dichiarazioni sferzanti. Ma il problema non è considerato Boeri quanto, ancora, la macchina del ministero dell’Economia. Secondo il M5S sarebbe una vendetta, il colpo di coda del sistema Garofoli, il capo di gabinetto che ha deciso di andarsene dopo i pesanti attacchi ricevuti per mesi, soprattutto dai grillini: anche questo sospetto è emerso nel vertice con Conte. Di nuovo — come durante la stesura del decreto dignità e d quello fiscale — il dito è puntato contro i tecnici. Sarebbero loro, e non le profonde differenze interne ai giallo-verdi, a rischiare di far saltare il delicato equilibrio trovato a forza di compromessi.
Anche nelle ultime ore: su reddito di cittadinanza e quota 100, licenze balneari, affidamenti senza gara, licenze di taxi e Ncc, saldo e stralcio per le famiglie più in difficoltà.
Nel pomeriggio di ieri, la viceministra Castelli, ancora senza deleghe come Massimo Garavaglia, emana una nota stampa in cui dice: «Sono seriamente costernata per la continua fuoriuscita dei documenti riservati del Mef.
Purtroppo non è la prima volta.
Nelle ultime ore circolano versioni del maxi emendamento ancora in lavorazione e non definitivo. La trovo una assoluta mancanza di rispetto verso i tecnici, gli uffici, il Parlamento e il Governo». Dopo pochi minuti, ad alcuni organi di stampa trapela una nuova versione. E la deputata M5S va su tutte le furie.
L’atmosfera è questa e non è difficile capire perché i ritardi si sommino l’uno all’altro portando l’ultimo miglio della manovra sull’orlo dell’esercizio provvisorio. Dai vertici del Movimento 5 stelle trapela un giudizio che sa di alibi: «Stanno cercando di farci fare una figuraccia». Ma anche Matteo Salvini, parlando con alcuni deputati, ha confessato tutta la sua preoccupazione. «Non controllare il ministero dell’Economia è un problema che avevamo sottovalutato», dice uno dei suoi fedelissimi.POLITICA
Il retroscena
La war room di via XX Settembre
Di Maio e Salvini di nuovo contro i tecnici “Numeri sbagliati, il pasticcio è loro”
ANNALISA CUZZOCREA,
ROMA
La war room della “manovra del cambiamento” è al primo piano del ministero dell’Economia: via XX settembre, Roma, la sede di ogni sospetto. Lì sono praticamente rinchiusi da 36 ore i 5 stelle Laura Castelli e Riccardo Fraccaro e il leghista Massimo Garavaglia. E lì, nella notte tra giovedì e venerdì, è scoppiata una nuova emergenza. Comunicata subito dal ministro per i Rapporti con il Parlamento al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ai vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che si sono incontrati al mattino, in un vertice di emergenza segreto, per cercare di capire cosa stia succedendo. E come fare a uscirne in tempo.
La Ragioneria dello Stato — la stessa che aveva sollevato dubbi sul “saldo e stralcio” mandando su tutte le furie il ministro dell’Interno — aveva allegato alla legge di Bilancio una relazione tecnica che il governo aveva bocciato. Secondo quei dati, la finestra pensionistica di uscita a quota 100 per la Pubblica amministrazione sarebbe dovuta scattare a ottobre, e non — come pretendono i giallo-verdi — a 6 mesi dall’entrata in vigore della legge che attuerà la revisione della legge Fornero, quindi in estate, se si seguissero i tempi previsti.
Sembrerebbe poco, se fosse una svista. Ma secondo Di Maio e Salvini non lo è: «Il Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco — racconta una fonte interna all’esecutivo — ha scelto deliberatamente la relazione che avevamo scartato, firmata da Tito Boeri. E l’ha inserita contravvenendo a quanto avevamo deciso». La querelle tra Salvini e il presidente Inps è cosa nota, fatta a colpi di tweet e dichiarazioni sferzanti. Ma il problema non è considerato Boeri quanto, ancora, la macchina del ministero dell’Economia. Secondo il M5S sarebbe una vendetta, il colpo di coda del sistema Garofoli, il capo di gabinetto che ha deciso di andarsene dopo i pesanti attacchi ricevuti per mesi, soprattutto dai grillini: anche questo sospetto è emerso nel vertice con Conte. Di nuovo — come durante la stesura del decreto dignità e d quello fiscale — il dito è puntato contro i tecnici. Sarebbero loro, e non le profonde differenze interne ai giallo-verdi, a rischiare di far saltare il delicato equilibrio trovato a forza di compromessi.
Anche nelle ultime ore: su reddito di cittadinanza e quota 100, licenze balneari, affidamenti senza gara, licenze di taxi e Ncc, saldo e stralcio per le famiglie più in difficoltà.
Nel pomeriggio di ieri, la viceministra Castelli, ancora senza deleghe come Massimo Garavaglia, emana una nota stampa in cui dice: «Sono seriamente costernata per la continua fuoriuscita dei documenti riservati del Mef.
Purtroppo non è la prima volta.
Nelle ultime ore circolano versioni del maxi emendamento ancora in lavorazione e non definitivo. La trovo una assoluta mancanza di rispetto verso i tecnici, gli uffici, il Parlamento e il Governo». Dopo pochi minuti, ad alcuni organi di stampa trapela una nuova versione. E la deputata M5S va su tutte le furie.
L’atmosfera è questa e non è difficile capire perché i ritardi si sommino l’uno all’altro portando l’ultimo miglio della manovra sull’orlo dell’esercizio provvisorio. Dai vertici del Movimento 5 stelle trapela un giudizio che sa di alibi: «Stanno cercando di farci fare una figuraccia». Ma anche Matteo Salvini, parlando con alcuni deputati, ha confessato tutta la sua preoccupazione. «Non controllare il ministero dell’Economia è un problema che avevamo sottovalutato», dice uno dei suoi fedelissimi.
Le norme modificate — rispetto al testo varato dalla Camera — sono in realtà moltissime e il lavoro per gli uffici di via XX settembre è imponente. A un certo punto, nel pomeriggio di ieri, si era diffuso il timore che occorresse rinviare il voto del Senato addirittura a domani. Ma da Conte, Di Maio e Salvini — in contatto costante con i tre della “war room” — è venuta, per una volta, un’identica indicazione: «Bisogna chiudere sabato», perché, come ha detto in conferenza stampa il presidente del Consiglio, «siamo già in zona Cesarini». E la clessidra avanza inesorabile verso gennaio.
Le norme modificate — rispetto al testo varato dalla Camera — sono in realtà moltissime e il lavoro per gli uffici di via XX settembre è imponente. A un certo punto, nel pomeriggio di ieri, si era diffuso il timore che occorresse rinviare il voto del Senato addirittura a domani. Ma da Conte, Di Maio e Salvini — in contatto costante con i tre della “war room” — è venuta, per una volta, un’identica indicazione: «Bisogna chiudere sabato», perché, come ha detto in conferenza stampa il presidente del Consiglio, «siamo già in zona Cesarini». E la clessidra avanza inesorabile verso gennaio.
e Conte e ai vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che si sono incontrati al mattino, in un vertice di emergenza segreto, per cercare di capire cosa stia succedendo. E come fare a uscirne in tempo.
La Ragioneria dello Stato — la stessa che aveva sollevato dubbi sul “saldo e stralcio” mandando su tutte le furie il ministro dell’Interno — aveva allegato alla legge di Bilancio una relazione tecnica che il governo aveva bocciato. Secondo quei dati, la finestra pensionistica di uscita a quota 100 per la Pubblica amministrazione sarebbe dovuta scattare a ottobre, e non — come pretendono i giallo-verdi — a 6 mesi dall’entrata in vigore della legge che attuerà la revisione della legge Fornero, quindi in estate, se si seguissero i tempi previsti.
Sembrerebbe poco, se fosse una svista. Ma secondo Di Maio e Salvini non lo è: «Il Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco — racconta una fonte interna all’esecutivo — ha scelto deliberatamente la relazione che avevamo scartato, firmata da Tito Boeri. E l’ha inserita contravvenendo a quanto avevamo deciso». La querelle tra Salvini e il presidente Inps è cosa nota, fatta a colpi di tweet e dichiarazioni sferzanti. Ma il problema non è considerato Boeri quanto, ancora, la macchina del ministero dell’Economia. Secondo il M5S sarebbe una vendetta, il colpo di coda del sistema Garofoli, il capo di gabinetto che ha deciso di andarsene dopo i pesanti attacchi ricevuti per mesi, soprattutto dai grillini: anche questo sospetto è emerso nel vertice con Conte. Di nuovo — come durante la stesura del decreto dignità e d quello fiscale — il dito è puntato contro i tecnici. Sarebbero loro, e non le profonde differenze interne ai giallo-verdi, a rischiare di far saltare il delicato equilibrio trovato a forza di compromessi.
Anche nelle ultime ore: su reddito di cittadinanza e quota 100, licenze balneari, affidamenti senza gara, licenze di taxi e Ncc, saldo e stralcio per le famiglie più in difficoltà.
Nel pomeriggio di ieri, la viceministra Castelli, ancora senza deleghe come Massimo Garavaglia, emana una nota stampa in cui dice: «Sono seriamente costernata per la continua fuoriuscita dei documenti riservati del Mef.
Purtroppo non è la prima volta.
Nelle ultime ore circolano versioni del maxi emendamento ancora in lavorazione e non definitivo. La trovo una assoluta mancanza di rispetto verso i tecnici, gli uffici, il Parlamento e il Governo». Dopo pochi minuti, ad alcuni organi di stampa trapela una nuova versione. E la deputata M5S va su tutte le furie.
L’atmosfera è questa e non è difficile capire perché i ritardi si sommino l’uno all’altro portando l’ultimo miglio della manovra sull’orlo dell’esercizio provvisorio. Dai vertici del Movimento 5 stelle trapela un giudizio che sa di alibi: «Stanno cercando di farci fare una figuraccia». Ma anche Matteo Salvini, parlando con alcuni deputati, ha confessato tutta la sua preoccupazione. «Non controllare il ministero dell’Economia è un problema che avevamo sottovalutato», dice uno dei suoi fedelissimi.POLITICA
Il retroscena
La war room di via XX Settembre
Di Maio e Salvini di nuovo contro i tecnici “Numeri sbagliati, il pasticcio è loro”
ANNALISA CUZZOCREA,
ROMA
La war room della “manovra del cambiamento” è al primo piano del ministero dell’Economia: via XX settembre, Roma, la sede di ogni sospetto. Lì sono praticamente rinchiusi da 36 ore i 5 stelle Laura Castelli e Riccardo Fraccaro e il leghista Massimo Garavaglia. E lì, nella notte tra giovedì e venerdì, è scoppiata una nuova emergenza. Comunicata subito dal ministro per i Rapporti con il Parlamento al presidente del Consiglio Giuseppe Conte e ai vicepremier Luigi Di Maio e Matteo Salvini, che si sono incontrati al mattino, in un vertice di emergenza segreto, per cercare di capire cosa stia succedendo. E come fare a uscirne in tempo.
La Ragioneria dello Stato — la stessa che aveva sollevato dubbi sul “saldo e stralcio” mandando su tutte le furie il ministro dell’Interno — aveva allegato alla legge di Bilancio una relazione tecnica che il governo aveva bocciato. Secondo quei dati, la finestra pensionistica di uscita a quota 100 per la Pubblica amministrazione sarebbe dovuta scattare a ottobre, e non — come pretendono i giallo-verdi — a 6 mesi dall’entrata in vigore della legge che attuerà la revisione della legge Fornero, quindi in estate, se si seguissero i tempi previsti.
Sembrerebbe poco, se fosse una svista. Ma secondo Di Maio e Salvini non lo è: «Il Ragioniere generale dello Stato Daniele Franco — racconta una fonte interna all’esecutivo — ha scelto deliberatamente la relazione che avevamo scartato, firmata da Tito Boeri. E l’ha inserita contravvenendo a quanto avevamo deciso». La querelle tra Salvini e il presidente Inps è cosa nota, fatta a colpi di tweet e dichiarazioni sferzanti. Ma il problema non è considerato Boeri quanto, ancora, la macchina del ministero dell’Economia. Secondo il M5S sarebbe una vendetta, il colpo di coda del sistema Garofoli, il capo di gabinetto che ha deciso di andarsene dopo i pesanti attacchi ricevuti per mesi, soprattutto dai grillini: anche questo sospetto è emerso nel vertice con Conte. Di nuovo — come durante la stesura del decreto dignità e d quello fiscale — il dito è puntato contro i tecnici. Sarebbero loro, e non le profonde differenze interne ai giallo-verdi, a rischiare di far saltare il delicato equilibrio trovato a forza di compromessi.
Anche nelle ultime ore: su reddito di cittadinanza e quota 100, licenze balneari, affidamenti senza gara, licenze di taxi e Ncc, saldo e stralcio per le famiglie più in difficoltà.
Nel pomeriggio di ieri, la viceministra Castelli, ancora senza deleghe come Massimo Garavaglia, emana una nota stampa in cui dice: «Sono seriamente costernata per la continua fuoriuscita dei documenti riservati del Mef.
Purtroppo non è la prima volta.
Nelle ultime ore circolano versioni del maxi emendamento ancora in lavorazione e non definitivo. La trovo una assoluta mancanza di rispetto verso i tecnici, gli uffici, il Parlamento e il Governo». Dopo pochi minuti, ad alcuni organi di stampa trapela una nuova versione. E la deputata M5S va su tutte le furie.
L’atmosfera è questa e non è difficile capire perché i ritardi si sommino l’uno all’altro portando l’ultimo miglio della manovra sull’orlo dell’esercizio provvisorio. Dai vertici del Movimento 5 stelle trapela un giudizio che sa di alibi: «Stanno cercando di farci fare una figuraccia». Ma anche Matteo Salvini, parlando con alcuni deputati, ha confessato tutta la sua preoccupazione. «Non controllare il ministero dell’Economia è un problema che avevamo sottovalutato», dice uno dei suoi fedelissimi.
Le norme modificate — rispetto al testo varato dalla Camera — sono in realtà moltissime e il lavoro per gli uffici di via XX settembre è imponente. A un certo punto, nel pomeriggio di ieri, si era diffuso il timore che occorresse rinviare il voto del Senato addirittura a domani. Ma da Conte, Di Maio e Salvini — in contatto costante con i tre della “war room” — è venuta, per una volta, un’identica indicazione: «Bisogna chiudere sabato», perché, come ha detto in conferenza stampa il presidente del Consiglio, «siamo già in zona Cesarini». E la clessidra avanza inesorabile verso gennaio.
Le norme modificate — rispetto al testo varato dalla Camera — sono in realtà moltissime e il lavoro per gli uffici di via XX settembre è imponente. A un certo punto, nel pomeriggio di ieri, si era diffuso il timore che occorresse rinviare il voto del Senato addirittura a domani. Ma da Conte, Di Maio e Salvini — in contatto costante con i tre della “war room” — è venuta, per una volta, un’identica indicazione: «Bisogna chiudere sabato», perché, come ha detto in conferenza stampa il presidente del Consiglio, «siamo già in zona Cesarini». E la clessidra avanza inesorabile verso gennaio.

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