22/12/2018
COMMENTI
Il caso
Sergio Rizzo
La marcia di avvicinamento alla dissoluzione della nostra democrazia rappresentativa procede a tappe forzate. Tanto da rendere la provocazione lanciata sei mesi fa da Beppe Grillo– sostituire le libere elezioni con il sorteggio dei parlamentari – uno sbocco logico. La tappa più recente, il metodo con il quale è stata confezionata la manovra economica del governo gialloverde , schiacciando il parlamento con ciò che per Emma Boninoè un «rullo compressore sulle istituzioni».
Si potrebbe eccepire che i rappresentanti del popolo nelle istituzioni non hanno sempre dato il buon esempio agli elettori, soprattutto quando era in ballo il bilancio dello Stato. Indimenticabili le finanziarie finite preda del deprecato assalto alla diligenza, con marchette (e vendette) che fioccavano da tutte le parti. Nessuna nostalgia, ovvio. Ma quando si criticava con ferocia quel mercato indecente era per riportare l’azione del Parlamento alla difesa dell’interesse generale, non perché fosse abolita del tutto com’è accaduto ora. Che poi la differenza è solo nel fatto che le marchette (e le vendette) si consumano a monte, cioè nelle stanze del governo, anziché a valle, in Parlamento. E finisce sempre allo stesso modo: con il voto di fiducia al maxiemendamento, un articolo e centinaia di commi spesso indecifrabili.
Vi chiederete: dov’è la differenza? C’è, ed è profondissima. Si sta scrivendo l’epitaffio di un modello di democrazia, l’idea che l’identità, il ruolo, la storia e la personalità di chi è chiamato unicamente a spingere un pulsante siano indifferenti.
Fino a superare del tutto il principio che un rappresentante del popolo debba avere qualità e competenze. Così che per «rendere il nostro parlamento veramente rappresentativo della società, il che significherebbe la fine dei politici e della politica come l’abbiamo sempre pensata» (Grillo dixit) l’unica strada resta l’estrazione a sorte dei rappresentanti.
Come per le giurie popolari in Corte d’assise, le commissioni di concorso, i commissari per le gare d’appalto… A dirla tutta, la cosa non è affatto nuova.
Venticinque secoli fa uno dei padri della democrazia greca, tal Clistene, aveva introdotto un sistema elettivo basato proprio sul sorteggio. Ferma restando, però, l’esistenza di un meccanismo per impedire che la stanza dei bottoni venisse occupata dagli incompetenti. E la tesi dell’estrazione a sorte dei rappresentanti del popolo è stata comunque a lungo discussa nei secoli, fino ai giorni nostri.
Bisogna pure dire che i nostri politici ce l’hanno messa tutta per favorire quel "rullo compressore". L’attività legislativa delle Camere, peraltro sommerse letteralmente dai voti di fiducia, è sempre più ridotta alla ratifica di decreti legge governativi. Raramente le leggi di iniziativa parlamentare arrivano in fondo, e il dibattito è sempre più povero anche a causa della crescente mediocrità degli eletti. La morte della formazione politica è stata anche la conseguenza di leggi elettorali sciagurate, basate sulla cooptazione e la fedeltà ai capi di partito o di corrente. La degenerazione viene da lontano e ha precisi responsabili.
Deflagrando però durante il decennio di Silvio Berlusconi: il quale, pur non avendo mai proposto il sorteggio, avanzò un giorno l’idea di far votare le leggi soltanto ai capi dei gruppi parlamentari . Una scorciatoia, per evitarsi la noia delle lungaggini democratiche.
Comunque, in attesa di passare dalle elezioni all’agognato sorteggio, i fautori della cosiddetta democrazia diretta non se ne stanno con le mani in mano. E hanno avviato una riforma del sistema referendario che ha l’obiettivo di mettere "il popolo" in competizione con il parlamento dei suoi stessi rappresentanti. Inizieranno da qui.
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