12/7/2018
TERZAPAGINA
t e r z a p a g i n a
Islam
Tra fondamentalismo e pluralismo
VANNA VANNUCCINI
Negli ultimi anni della vita di Maometto alla Mecca le tribù di Medina (che allora si chiamava Yathrib), da anni in lotta fra loro, mandarono una delegazione alla Mecca per chiedere al Profeta di aiutarle a trovare la via della pace. Portando con sé pochi seguaci nel 622 Maometto andò a Medina e stilò un accordo formale con tutte le tribù, un documento che da allora viene chiamato la Carta di Medina.
Stabiliva una sorta di federazione tra le tribù medinesi e gli emigranti musulmani che erano arrivati dalla Mecca,specificava diritti e doveri di tutti gli abitanti e le relazioni fra le differenti comunità (c’erano ebrei e pagani oltre ai musulmani) . Bandiva ogni forma di violenza dal territorio della città, vietava l’uso delle armi, ordinava la sicurezza delle donne, stabiliva un sistema giudiziario per risolvere le dispute e aboliva la legge biblica del taglione sostituendola con il pagamento del prezzo del sangue.
Fissava diritti e responsabilità di musulmani israeliti e pagani collocandoli all’interno di una nuova struttura sociale chiamata Umma (comunità). Fu la costituzione del primo Stato islamico della storia e a questa Carta si richiamano ancora oggi studiosi, teologi e tutti coloro che nei nostri tempi perturbati si chiedono quanto pluralismo, quanta tolleranza consenta l’islam. O più in generale quanta religione sopporti la democrazia.
Al tema delle fonti del pluralismo nell’islam è stato dedicato un convegno di tre giorni e una masterclass (gratuita) di una settimana per giovani teologi, imam o semplicemente studenti, organizzato a Casablanca da Reset Dialogues on civilazations insieme alla Fondazione King Abdul Aziz al Saoud, con il contributo di altre organizzazioni marocchine e internazionali. Una maratona con relazioni di studiosi, tra cui un autorevole hojatoleslam sciita, Mohsen Kadivar, che riflettono sulle radici del pluralismo, sviscerano le fonti del Corano che rivelano la bellezza della diversità umana, questioni quasi sempre fraintese da una parte e dall’altra della frontiera (immaginaria?) che divide l’islam dal resto del mondo.
In un parola spiegano come lo scontro di civiltà non sia altro che uno scontro di ignoranze.
Ma non è anche la Carta di Medina un mito in un mondo in cui le forze dell’odio e della polarizzazione guadagnano terreno, spinte da interessi politici che diffondono il pregiudizio e la paura dell’altro, della sua religione e dei comportamenti che si presume essa generi? Come spiegano teorici e teologi che nel mondo islamico si assista a un irrigidimento, a una crescita del fondamentalismo, e che perfino in paesi come l’Indonesia, dove democrazia e islam sembravano convivere in modo esemplare, vengano introdotti i reati di apostasia, di blasfemia, e la voce della stampa libera sia tacitata?
Il Marocco è, relativamente, un’eccezione. Per grazia di Sua Maestà Mohammad VI, è il paese arabo che ha fatto maggiori progressi sulla via per Medina. Ed è anche per questa ragione che il seminario si è tenuto a Casablanca, altrove sarebbe stato più difficile. In Marocco il re non è solo la massima autorità politica ma anche la massima autorità religiosa e se agisce con prudenza ha molte carte in mano per rompere con la tradizione. Da quando è salito al trono nel 1999, ereditando dal padre Hassan II un paese tenuto sotto fermocontrollo per quarant’anni, cerca di emanciparlo. Libri di testo che propagano la conoscenza di un islam come religione di pace e di tolleranza, di moderazione e di coesistenza; parità tra donne e uomini, nuove regole in tema di divorzio, matrimonio, eredità.
Quando l’Occidente vede l’islam come il nemico provoca reazioni conseguenti, mi dice Mohsen Kadivar. I fondamentalisti nel mondo islamico sono una frazione minima, molto inferiore in percentuale agli evangelisti americani. Ma quando i terroristi islamici commettono massacri in nome della religione, la diffidenza nei confronti di quella religione non può che aumentare, si può obiettare. Kadivar è un teologo sciita riformista, era stato un ispiratore delle riforme avviate dal presidente Khatami in Iran all’inizio degli anni 2000.
Sosteneva la separazione tra Stato e chiesa e i giovani di Teheran correvano ad ascoltarlo nella Hosseinieh Ershad, un istituto religioso indipendente della capitale. Dopo vicissitudini varie, tra le quali otto mesi a Evin, il carcere di Teheran, andò in esilio nel 2007 come tanti riformatori iraniani e ora insegna alla Duke University a Durham – ammesso, dice, che con le difficoltà che hanno gli iraniani negli Stati Uniti, ancorché possessori di una green card, gli permettano di rientrare.
Kadivar si stupisce della memoria corta dell’Occidente: nessuno ricorda che i Taleban in Afghanistan sono stati creati dalla Cia. Quanto ai versetti coranici che predicano la tolleranza religiosa, abrogati in gran parte dalla tradizione sunnita a favore dei successivi versetti medinesi che invitano alla guerra contro gli infedeli, il teologo ricorda che nella tradizione sciita quei versetti moderati non sono stati cancellati. Convegni come questo di Casablanca sono frequenti in Occidente, dove i relatori quando sono arabi vivono e insegnano. La differenza è che qui i protagonisti sono principalmente studiosi arabi che vivono nei loro paesi – e soprattutto in Marocco. Qualcuno si stupirà che un dibattito sul pluralismo etico, sul dialogo tra le religioni, sulla riforma dell’islam e l’educazione alla pluralità abbia il sostegno di una fondazione che porta il nome del primo re saudita. Il “long game” dei sauditi wahabiti che investono i loro petrodollari un po’ dappertutto, aspettando di veder maturare benefici a lungo termine, è ben noto. Ma con il Marocco l’Arabia saudita ambisce a competere per portare il mantello dell’islam moderato.