Quantcast
Channel: Articoli interessanti
Viewing all articles
Browse latest Browse all 4971

“Bene abbassare le tasse ma rigore sui conti”

$
0
0
10/6/2018
ECONOMIA
Visco (Banca d’Italia)

FRANCESCO MANACORDA

BOLOGNA
«Una riforma fiscale in Italia è opportuna. Ma è una cosa complessa. Non si può fare dicendo: abbassiamo tutte le tasse e vediamo l’effetto che fa».
Avevamo lasciato Ignazio Visco preoccupato, preoccupatissimo, il 29 maggio scorso nella sala delle assemblee di Banca d’Italia. Quella mattina di dieci giorni fa il governo non c’era ancora, lo spread saliva dritto oltre i 300 punti e nelle sue Considerazioni finali il Governatore cercava di sedare le voci più incontrollate e antieuropeiste di una maggioranza che ancora doveva concretizzarsi in governo, proclamando che «il destino dell’Italia è in Europa». Adesso, mentre Visco risponde alle nostre domande di fronte alla platea bolognese della Repubblica delle Idee, alcune sicurezze in più ci sono, ma molte incertezze restano. Ecco alcuni stralci del colloquio pubblico di ieri il cui video completo è su Repubblica. it.
Governatore, dal nuovo governo appena formato abbiamo sentito parlare di una flat tax che potrebbe costare una cinquantina di miliardi di euro e, allo stesso tempo, di un reddito di cittadinanza che potrebbe costare altri 15 miliardi.

 Come si concilia tutto questo, ammesso che si concili, con la tenuta dei conti pubblici?

«Una riforma fiscale è complessa e va studiata in modo approfondito.Una riforma è necessaria perché l’insieme di regole messo a punto quaranta o cinquant’anni fa va rivisto. Però va studiata, ci vuole tempo. È senza dubbio una buona cosa ridurre le imposte sui fattori di produzione e in generale ridurre le imposte più distorsive. Così come è positivo l’obiettivo che si intende perseguire con il reddito di cittadinanza: proteggere i più deboli e dare uguali opportunità a tutti. Chi non è d’accordo? Anche il tentativo fatto dai precedenti governi di mandare a regime il cosiddetto reddito di inclusione va nella direzione auspicata dall’attuale governo. Ma anche in questo caso, come per la riforma fiscale, bisogna capire bene i modi, i tempi e aver chiari i vincoli di bilancio».

La riforma fiscale, è però il suo messaggio, si può e si deve fare.

«Sì, sicuramente, cosi come è necessario un intervento per dare a tutti opportunità di lavoro, visto che lavorare è la soluzione migliore per tutti i problemi. Ma il punto cruciale è che bisogna decidere le priorità di quello che si vuole fare. Se diciamo che vogliamo realizzare tutte queste riforme bisogna capire quando, in che ordine, con quali benefici e con quali effetti sulla nostra finanza pubblica».

Ma da economista, ci dica, come andrebbe cambiato il sistema fiscale in Italia? Ad esempio tassando più i consumi e meno il lavoro, come spesso indica la Commissione europea?

«Credo che della questione si debbano occupare gli esperti.Usiamoli e cerchiamo, con il loro apporto, di disegnare un sistema fiscale equo, equilibrato e che risponda a criteri di efficienza. È chiaro che le modalità di tassazione dei fattori produttivi sono le più insidiose perché rischiano di ridurre il potenziale di crescita.Quasi tutti i Paesi hanno creato commissioni dedicate a mettere a punto una riforma fiscale, le cui conclusioni sono state poi seguite dalla politica, che ovviamente deve decidere. Anche in materia fiscale bisognerebbe cercare di non seguire troppo delle vie nazionali e di utilizzare invece al meglio le esperienze internazionali, di avere soluzioni condivise in Europa, come deve avvenire in molti altri campi».

Lei in questi giorni ha anche lanciato un avvertimento forte sui conti pubblici: attenzione a non fare passi sbagliati perché si rischia di finire nel burrone. Che cosa c’è con esattezza in quel burrone?

«Non lo so. È evidente però che i mercati percepiscono un rischio.Basta guardare allo spread che sale o meglio all’andamento del tasso di interesse sui titoli di Stato italiani, che nel giro di un mese è passato da meno del 2 per cento a oltre il 3 per cento. Il nostro debito pubblico sta per oltre il 50 per cento nei portafogli degli italiani, per il 15 in quello della Banca d’Italia e per il 33 per cento all’estero, dove ci sono fondi pensione, fondi sovrani e altri soggetti tra cui anche una piccola componente di speculatori. Tutti questi investitori tendono a proteggersi dai rischi e il tasso d’interesse sui nostri titoli di Stato sale se questi investitori percepiscono incertezza o addirittura sentono proposte che non capiscono».

Ma un paese con un debito così alto rispetto al Pil come l’Italia può avere piena sovranità? In questi giorni si è parlato molto, in senso polemico, di dittatura dello spread: appena si fa una proposta che non piace ai mercati scatta la tagliola di un rialzo dei tassi. È così?

«Ogni anno l’Italia emette 400 miliardi di nuovo debito per sostituire il debito in scadenza e per finanziare il deficit. E ogni anno qualcuno deve comprare quel debito, quei titoli. I risparmiatori italiani, i fondi pensione degli insegnanti americani o i fondi sovrani asiatici. Sono loro che chiedono tassi più alti per proteggersi da un rischio che nella loro percezione aumenta. Io credo che quelle che riguardano il debito siano scelte nostre, non dettate dai mercati o dagli speculatori. Sta scritto nella nostra Costituzione che dobbiamo avere i conti in ordine: non c’è bisogno che ce lo ricordi qualcuno dall’esterno».

Oggi abbiamo un governo, se non euroscettico, almeno eurocritico. C’è qualcosa da cambiare nella costruzione dell’euro e dell’Europa o va presa così come è ?

«Noi siamo in Europa, non solo in termini geografici. Siamo tra i fondatori dell’Unione europea e l’Europa è già una realtà per tutti noi. Vale per gli studenti – oggi ci sono cinquantamila italiani nelle università europee e quarantamila europei in Italia – cosi come per le imprese che esportano, importano, investono e ricevono investimenti principalmente verso e dagli altri Paesi europei. Quando il 29 maggio scorso dissi che il destino dell’Italia è in Europa eravamo in una situazione di grande tensione legata a strane interpretazioni su euro, uscita dell’euro e cosi via. Di uscita dall’euro non si parla, non se ne deve parlare. Non solo è improponibile, ma è anche dannoso. È però vero che ci sono passi in avanti che si possono fare.Bisogna essere presenti ai tavoli di discussione. A Bruxelles tocca al governo, alla Banca d’Italia tocca farlo a Francoforte, nella Banca centrale europea, dove si decide la politica monetaria e si costruisce insieme un sistema di vigilanza bancaria».

Ecco, le banche. Per quelle italiane la crisi è davvero finita?

«Difficile dirlo. Certo, dal punto di vista della capitalizzazione le bancheitaliane sono passate tra il 2007 e il 2017 da un capitale del 7 per cento dell’attivo a quasi il14 per cento, quindi sono senza dubbio più solide. I crediti deteriorati, i cosiddetti Non performing loans, che erano cresciuti soprattutto dopo la crisi del debito sovrano, sono arrivati a pesare, al netto degli accantonamenti fatti dagli istituti, per l’11 per cento dei loro crediti complessivi. Ora la situazione è migliorata: per l’anno prossimo saremo sotto il 5 per cento del sistema nel suo complesso e sotto il 4 per cento per le banche maggiori.Bisogna fare ancora di più, anche se una parte delle difficoltà è legata ai ritardi della giustizia civile, che ancora richiedono interventi di riforma».

Il neopresidente del Consiglio Giuseppe Conte ha detto che vuole rivedere la riforma delle banche popolari e del credito cooperativo avviata dal governo Renzi. Concorda o no?

«Ancora non ho parlato con il Presidente del Consiglio di queste cose e mi riprometto di farlo presto con il Ministro dell’Economia. In generale sulle popolari e sulle banche di credito cooperativo penso che sia stato fatto un buon percorso, condiviso con le loro associazioni e già a un avanzato stadio di realizzazione. Non dimentichiamo poi che le banche in Italia sono imprese private. Non si può decidere al posto loro, anche se ogni Parlamento può ovviamente ridisegnare le regole del gioco, nell’ambito di una cornice che ancora una volta è europea».

Governatore, Bankitalia è stata molto attaccata prima delle elezioni perché la percezione comune è che la sua vigilanza non sia stata incisiva e nei casi più gravi c’è voluto l’intervento della magistratura…

«Non è così. Tutte le inchieste della magistratura hanno origine dall’attività della Banca d’Italia, che però è legata al segreto d’ufficio.Tutte le volte che c’è un’ipotesi di reato lo segnaliamo alla magistratura, che ha gli strumenti giusti per intervenire. Siamo un organo di vigilanza e non di polizia, non abbiamo i poteri che ha la magistratura».

Che cosa avete imparato dalla crisi e dagli scandali bancari?

«In primo luogo che anche la vigilanza più attenta può essere ingannata da comportamenti illeciti. Ad esempio quando una banca finanzia direttamente, con propri fondi, le operazioni di rafforzamento di capitale chieste proprio da noi. E poi che dobbiamo spiegare meglio, e in maniera più chiara, quello che la Banca d’Italia può e deve fare o non fare».
© RIPRODUZIONE RISERVATA
 Il punto cruciale è che bisogna decidere le priorità di quello che si vuole fare, l’ordine e gli effetti sulla nostra finanza pubblica I mercati percepiscono un rischio: basta guardare lo spread che sale o all’andamento dei tassi di interesse sui titoli di Stato
GIORGIO BENVENUTI/ ANSA

Viewing all articles
Browse latest Browse all 4971

Trending Articles