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Per Sánchez arriva il giorno della rivincita

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1/6/2018
MONDO
Il personaggio
Il leader socialista

ALESSANDRO OPPES
La rivincita è arrivata a sorpresa, improvvisa, proprio nel momento in cui i socialisti spagnoli attraversavano una fase di appannamento, da cui non sembravano in grado di scuotersi neppure con il ritorno alla guida del partito di Pedro Sánchez, rieletto alla segreteria alle primarie di una anno fa appena pochi mesi dopo essere stato messo alla porta dai suoi stessi compagni. Ora tacciono, o fanno finta di niente. In troppi, e troppo a lungo, avevano dato Sánchez per acabado, politicamente morto. Era un coro che si levava da una parte consistente della grande stampa spagnola, alimentato e rilanciato dai più potenti “baroni”, i dirigenti nazionali e territoriali del Psoe. Al punto che, in una drammatica riunione esecutiva della “rosa nel pugno”, il 1° ottobre del 2016 – venti mesi fa esatti – i socialisti cacciarono il loro leader. Quasi come un appestato. Reo di non aver garantito la governabilità a un Paese che veniva, fatto senza precedenti, da due elezioni legislative celebrate nel giro di appena sei mesi. La condizione per la stabilità era un suo “sì” alla riedizione di un governo targato Rajoy, con il Pp che era risultato primo partito alle urne ma senza maggioranza.
Fedele a un principio espresso fino alla sazietà – “il no è no” è diventato il suo slogan preferito, un modo per dire che mai e poi mai avrebbe accettato qualsiasi forma di alleanza con i popolari – il giovane leader si fece da parte lasciando persino il seggio parlamentare. Ma la base socialista che nel 2014 l’aveva voluto alla leadership della centenaria formazione storica della sinistra, un anno fa gli ha confermato la fiducia. Nel frattempo il Rajoy-bis era nato anche grazie all’astensione tecnica del comitato provvisorio di reggenza del Psoe. Ma la congiura che aveva fatto fuori Sánchez ha avuto breve durata. E lui è ripartito da quel punto fermo: il “no” a Rajoy, che era anche un no alla destra e una presa di distanze senza condizioni dalla corruzione che affligge il partito che per sette anni ha tenuto le redini del potere centrale in Spagna.
È probabilmente in questa tenace coerenza la base del successo di una mozione di censura che - a meno di un colpo di scena dell’ultimora, ovvero le dimissioni del premier - con il voto di oggi alle Cortes aprirà a Sánchez le porte del palazzo della Moncloa.
Incredibile ma vero.
Sorprendente non solo perché è una prima assoluta (in 40 anni di democrazia, i tre tentativi precedenti di sfiducia al governo erano tutti andati a vuoto), ma anche per il fatto che il Psoe, con i suoi 85 seggi, ha ottenuto due anni fa uno dei peggiori risultati della sua storia.
L’urgenza del momento ha però spinto sia Podemos sia i partiti nazionalisti catalani e baschi a dare fiducia a Sánchez per mandare il centro-destra all’opposizione. Ora il leader socialista - che dovrebbe governare alla guida di un esecutivo monocolore - promette un impegno a tempo per portare a compimento alcune riforme essenziali (tra i primi compiti ci sarà quello di emendare l’odiata “legge bavaglio” del Pp) ma soprattutto «ristabilire la normalità democratica». «Mai prima d’ora - ha detto ieri Sánchez dalla tribuna delle Cortes - una mozione di censura era stata così necessaria per l’igiene democratica». Compito gravoso quello del leader socialista, che dovrà gestire il potere senza una solida maggioranza. Più in là, forse in autunno o la prossima primavera, la Spagna tornerà al voto. Ma intanto Sánchez ha fatto il miracolo e spera di dimostrare a tutti che, oltre a essere un leader di partito, può diventare uomo di Stato.
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