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I RISCHI NASCOSTI NELLE BANCHE

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FERDINANDO GIUGLIANO
NON bisogna essere attenti osservatori di vicende bancarie per notare il contrasto tra gli annunci ufficiali sulla salute del mondo del credito e il susseguirsi delle crisi. Dopo i festeggiamenti estivi per la liquidazione ordinata delle banche venete, ecco arrivare le turbolenze di autunno su Carige e Credito Valtellinese (Creval). Il mantra del sistema bancario “solido”, ripetuto in più occasioni da esponenti del governo come il ministro Pier Carlo Padoan, suona ormai come una stonata cantilena.
I problemi che si stanno manifestando in questi giorni sono senz’altro minori rispetto a quelli esplosi negli ultimi due anni. Carige e Creval sono molto più piccole del Monte dei Paschi di Siena, che il governo ha dovuto nazionalizzare solo pochi mesi fa. L’aumento di capitale di Carige, che si era complicato a causa di disaccordi fra la Malacalza Investimenti, primo socio della banca, e il consorzio di garanzia, dovrebbe alla fine andare in porto. Anche il rafforzamento appena lanciato dalla banca valtellinese, molto ambizioso data la ridotta capitalizzazione dell’istituto, potrebbe essere soltanto il preludio a una cessione a un gruppo più solido.
Purtroppo però gli investitori continuano ad avere perplessità sulle nostre banche. Vero: le azioni del settore sono salite di quasi il 6% dalla cessione delle attività buone di Veneto Banca e Banca Popolare di Vicenza a Intesa Sanpaolo. Ma bastano piccoli scricchiolii a far tornare la paura, come dimostrano i cali in borsa degli ultimi giorni. Il sistema bancario italiano è più solido di prima, ma non lo è ancora del tutto.
Il problema prima di tutto è che la catasta di crediti deteriorati che grava sui bilanci delle nostre banche continua ad essere di molto superiore rispetto alla maggior parte degli altri Paesi europei. Le cessioni di sofferenze a operatori specializzati — e, nel caso delle due banche venete, allo Stato — procede a ritmi sostenuti ma richiederà ancora del tempo per mettere il sistema fuori pericolo.
A questi problemi pregressi si aggiungono degli errori dei supervisori. La Banca centrale europea, che sta giustamente spingendo le banche europee perché si liberino il prima possibile da questo fardello di incagli e sofferenze, non si è distinta in questi mesi per la sua strategia di comunicazione. Una maggiore trasparenza su quali siano gli obbiettivi di riduzione degli stock di crediti deteriorati sarebbe senz’altro auspicabile. Un’apertura di questo tipo richiederebbe ovviamente il sostegno da parte della classe politica italiana, che non perde invece occasione per dare addosso alla Bce e ai suoi giusti obbiettivi prudenziali.
La trasparenza non si ferma però alle banche grandi, su cui Francoforte ha responsabilità di vigilanza congiunte insieme alla Banca d’Italia. Diversi analisti esterni sono preoccupati per lo stato di salute degli istituti di credito più piccoli, che sono rimasti sotto la diretta supervisione di Palazzo Koch. Oltre a Creval — che ieri ha perso quasi il 25% in borsa — c’è il caso della Banca Popolare di Bari, le cui azioni invece non sono quotate. L’istituto pugliese ha già ridotto del 21% il loro valore, ma è assai probabile che questo sia destinato a scendere ulteriormente.
La Banca d’Italia dovrebbe avviare un’operazione trasparenza sullo stato degli attivi delle piccole banche. Questo avverrà in parte con il processo di aggregazione delle Banche di Credito Cooperativo, che saranno sottoposte a uno stress test prima di finire sotto la supervisione congiunta di Bankitalia e Bce. Per tutte le altre, sarebbe opportuno uno stress test pubblico semplificato, non dissimile da quello che la Bundesbank ha condotto a inizio settembre su 1555 piccole banche.
Le vicende di Carige e di Creval sono l’ennesimo campanello di allarme sui rischi che continuano a nascondersi nel nostro sistema bancario. I progressi, che pure ci sono stati, non possono farci ignorare quello che c’è ancora da fare: tagliare i costi, accelerare sulle procedure di recupero delle garanzie e migliorare la qualità e la trasparenza della vigilanza. Solo allora potremo davvero dire che il sistema è diventato solido.
L’autore è editorialista di Bloomberg View
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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