Quantcast
Channel: Articoli interessanti
Viewing all articles
Browse latest Browse all 4946

Per chi vota la mafia

$
0
0
le elezioni regionali


Quel blocco di potere tra politici e burocrati ora gioca su più tavoli
ATTILIO BOLZONI
È TUTTO sotto traccia. Promesse, patti, ricatti. Un voto chiesto più con i silenzi che con le parole, un voto in codice cifrato. Quello che non si dice in questa campagna elettorale siciliana vale di più — molto di più — rispetto a quello che si dice. È un gioco delle parti dove tutti o quasi tutti fanno finta di niente. I pupari sono sempre gli stessi, cambiano solo i pupi.
Anche la vicenda degli “impresentabili” che tanto clamore ha sollevato sembra una cortina fumogena, un polverone. Ce n’erano in numero assai maggiore e con precedenti penali assai più pesanti nelle consultazioni passate, eppure tutte le accuse che le varie coalizioni si scambiano sui candidati in lista che presentano qualche macchia è diventata la questione centrale per la sfida del 5 novembre, il giorno che l’isola sceglierà il suo nuovo governatore e saranno eletti i 70 onorevoli del parlamento siciliano, “il più antico del mondo” ma anche quello dove la mafia si è sempre acquartierata per sopravvivere a se stessa.
In Sicilia da una quindicina di anni c’è un “blocco” di potere che decide inesorabilmente le elezioni. E’ un sistema flessibile, una volta orientato verso il centrodestra e la volta dopo verso il centrosinistra, per poi ritornare da una parte o dall’altra con noncuranza spostando gli stessi voti, mantenendo gli stessi apparati di burocrazia, piazzando nei punti nevralgici dell’amministrazione gli stessi uomini e le stesse donne. Questo “blocco” rappresenta in parte - solo in parte - alti interessi di mafia. E’ nato con Totò Cuffaro, si è riprodotto naturalmente con Raffaele Lombardo, poi si è nascosto dietro la figura di Rosario Crocetta e della sua grottesca “rivoluzione” antimafia sponsorizzata (con assessori di fiducia in giunta, come Linda Vancheri fino a un anno fa) da gente sotto inchiesta per mafia.
Questa volta però c’è una mancanza apparente e c’è una variabile. La mancanza è la Confindustria siciliana, unico “partito” sempre presente negli ultimi dieci anni nel governo regionale e trascinato nello scandalo dal suo ex presidente Antonello Montante, indagato per concorso esterno e tanto altro. Ufficialmente Confindustria siciliana non appare nella competizione elettorale, in realtà - e tutti lo sanno bene - alcuni suoi uomini manovrano nell’ombra. Ormai svergognati come “paladini” della legalità, tentano disperatamente di non perdere troppo terreno e tornare alla Regione con un altro vestito. E’ solo una parte degli industriali siciliani, naturalmente. Quella investita da un ciclone dopo essersi impossessata di tutto sull’isola in nome di un’antimafia farlocca.
Montante aspetta le elezioni ma soprattutto l’esito dell’inchiesta giudiziaria che l’ha travolto. Ormai è questione di settimane. Il suo vecchio amico Ivan Lo Bello, presidente di Unioncamere, al momento - come si dice in Sicilia - si è buttato dietro un pietrone, si è defilato. Aspetta tempi migliori per riciclarsi.
La variabile sono i 5 Stelle che provano ad impadronirsi della Regione. Domenica avranno più chance di cinque anni fa. Così quel “blocco” si è già posizionato per non avere sorprese. E ha programmato “una diversificazione del rischio” provando ad agganciare in ogni schieramento - escluso quello di Claudio Fava, figlio di un giornalista ucciso a Catania dalla mafia ma anche dall’indifferenza di una città - possibili referenti e amici. Vecchi e nuovi personaggi s’incrociano sulla stessa strada.
Come i due ultimi governatori, Totò Cuffaro e Raffaele Lombardo, il primo che appena un anno e mezzo fa è uscito da Rebibbia dopo avere scontato la sua pena a 5 anni per avere favorito Cosa Nostra e il secondo condannato in appello a due anni per voto di scambio con aggravante mafiosa.
Cuffaro, dopo le promesse dell’esilio in Burundi - c’è stato solo per qualche mese - ha sentito il “richiamo della foresta” e si è rituffato nell’arena elettorale per far eleggere Filippo Tripoli, un suo amico di Bagheria. Lombardo riceve nella sua segreteria catanese indicando come suo favorito Giuseppe Compagnone, senatore e ex sindaco del suo paese, Grammichele. Tutti e due hanno annunciato che non voteranno per Musumeci. Sostenuto dal vecchio establishment, Musumeci dovrà fare i conti con un candidato, Giancarlo Cancelleri dei 5 Stelle, che ha scientificamente abolito la parola “mafia” dal suo vocabolario elettorale.
Nel tour estivo con Di Maio e Di Battista non ne ha parlato mai nemeno nel trapanese, reame dell’ultimo latitante di Cosa Nostra Matteo Messina Denaro. Neanche sfiorato l’argomento. Sono segnali che in Sicilia raccontano molto. Ma al di là delle ultime apparizioni questo Cancelleri non ha mai fatto una vera opposizione a Crocetta, non ha mai - se non in un paio di occasioni a inizio di legislatura - parlato di quel “blocco” di potere che ha tutto in mano in Regione. Al contrario, si sta rivelando molto “democristiano” e rassicurante. Anche sull’abusivismo. Piace per questo ai siciliani.
E non a caso - a proposito del detto e del non detto - Crocetta e il senatore Lumia, “regista” di tutte le ultime spericolate operazioni politiche, hanno già fatto capire che molti dei loro non voteranno per il centronistra ma per i 5 Stelle. Come i fedelissimi dell’ex ministro Totò Cardinale, tutti di centrosinistra che però vogliono Musumeci governatore. Giochi di specchi. Intorno al “vero” centrosinistra e al suo candidato Fabrizio Micari c’è il nulla, il vuoto. Nemmeno un “impresentabile” veramente impresentabile per il quale valga la pena di scrivere qualcosa.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Anche la “rivoluzione” di Crocetta è stata condizionata da soggetti finiti sotto inchiesta

Viewing all articles
Browse latest Browse all 4946

Trending Articles