Politica e giustizia
Il caso.
Il 22 novembre la Corte europea esaminerà il ricorso contro la Severino Ma per il verdetto serve almeno un anno
LIANA MILELLA
ROMA.
Un anno. Udienza il 22 novembre 2017, sentenza autunno 2018. È questa la stima dei tempi, che arriva dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, la temuta e autorevole Cedu, sul ricorso di Berlusconi contro la legge Severino. Una stima che mette nel nulla le previsioni di Antonio Tajani, il presidente forzista del Parlamento Ue che a “Circo Massimo” di Massimo Giannini ieri s’è detto certo che dalla Cedu «verranno segnali positivi per Berlusconi» ipotizzando addirittura che il giudizio di Strasburgo potrà arrivare «in tempo utile, prima che nasca il nuovo governo».
Se si vota entro marzo 2018, il governo potrebbe nascere tra la fine di aprile e l’inizio di maggio. A quel punto saranno passati solo poco più di cinque mesi dal 22 novembre, giorno in cui la Grande Chambre, la Camera composta da 17 membri che vale come la nostra Cassazione, le cui decisioni sono definitive, avrà affrontato in udienza a porte chiuse il caso Berlusconi. Quindi Tajani prefigura uno scenario incompatibile con i tempi di Strasburgo, che uno degli avvocati di Berlusconi, Piero Longo, in un’intervista (Corriere, 13 settembre) ha definito «estenuanti», e in cui ricordava polemicamente che il ricorso data all’autunno del 2013, quando il Senato decretò a scrutinio palese, in base alla legge Severino la decadenza di Berlusconi, ad agosto condannato a 4 anni per frode fiscale.
Perché ci vuole un anno per giungere dall’udienza del 22 novembre alla sentenza? La procedura di Strasburgo è rigida. Un’udienza estremamente stringata, in cui avranno la parola un relatore, tuttora ignoto, e un contro relatore. Tempi stretti, quando la lancetta avrà raggiunto il limite di tempo assegnato il microfono si spegnerà. Si asterrà l’attuale presidente della Cedu, il giudice italiano Guido Raimondi, una lunga esperienza internazionale alle spalle, proprio perché la Corte tratta un caso rilevante del suo stesso Paese.
Che succede dopo? I giudici s’incontrano per un primo giro di tavolo. E ipotizzano già la decisione. Che però non trapela mai. Il relatore scrive una prima bozza, letta e valutata collegialmente in una riunione successiva. A quel punto la sentenza, che continua a essere segreta, viene tradotta nelle 47 lingue dei paesi che fanno parte della Ue. In un nuovo incontro viene vistata da tutti i giudici. Può diventare pubblica. In media, dall’udienza alla sentenza a Strasburgo passano tra i dieci e i 12 mesi.
Esiste un margine per conoscere prima la decisione dei giudici? Uno ce n’è, e la difesa di Berlusconi si augura che la Corte, considerato il ruolo dell’ex Cavaliere, possa decidere di comportarsi così. In casi particolarissimi, quando da una sentenza può dipendere il destino della persona che ha fatto ricorso – per esempio un detenuto in pericolo di vita – la Corte può emettere un dispositivo che anticipa sinteticamente la decisione presa. La situazione politica di Berlusconi – le elezioni italiane, il suo nome “for president” sul simbolo, la Severino che blocca non solo la candidatura, ma pure la presenza nel governo fino al novembre 2019 – potrà giustificare l’anticipo? Chi difende Berlusconi se lo augura, ma ha deciso di non pressare la Corte. L’ordine è evitare polemiche che producono solo dei danni.
Il caso Berlusconi a Strasburgo però potrebbe avere un destino segnato dalla stessa giurisprudenza della Cedu. I suoi legali – Niccolò Ghedini e Franco Coppi per il coté penale, Andrea Saccucci per quello europeo – si batteranno per dimostrare che la legge Severino ha imposto una nuova sanzione penale più dura (sei anni di incandidabilità) della stessa interdizione dai pubblici uffici (due anni), che in quanto tale non poteva essere applicata retroattivamente perché più sfavorevole. Mentre il decreto legislativo del 31 dicembre 2012 “vale” anche per il reato di frode contestato a Berlusconi e commesso nel 2004.
Ma proprio la giurisprudenza Cedu sembra già dar torto all’ex premier. Tant’è che essa, con ampie citazioni delle sentenze riportate dalla relatrice, il giudice Daria de Pretis, è già stata utilizzata dalla nostra Corte costituzionale (sentenza 236 del 2015 e 276 del 2016) quando ha affrontato e bocciato i ricorsi per i casi del sindaco di Napoli Luigi De Magistris e del governatore della Campania Vincenzo De Luca contro la legge Severino con motivazioni identiche a quelle di Berlusconi. Promuovendo la Severino come semplice sanzione amministrativa, frutto «del venir meno di un requisito soggettivo nella discrezionalità del legislatore per l’accesso alle cariche».
©RIPRODUZIONE RISERVATA