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La modella all’asta sul web “Mi hanno drogata e rapita per vendermi agli arabi”

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cronaca
Le indagini.
Parla Anna, 20 anni, la ragazza inglese rinchiusa per una settimana in un casolare piemontese. Arrestato un polacco

PIERO COLAPRICO
MILANO.
Prigioniera. Incosciente. I capelli a raggiera a incorniciare il bel volto, il corpo snello racchiuso in un body di ciniglia rosa. Le due foto si trovano sul web e corrispondono a questa filiforme modella inglese di vent’anni, che si è ritrovata tra Milano e il Piemonte soggiogata nel fisico e fiaccata nello spirito. E che è ancora molto spaventata dall’essere finita nelle grinfie di qualcuno che le ha parlato a nome dei Black Death:
«Mi è stato fatto capire che l’organizzazione è strutturata su venti livelli gerarchici e tratta a pagamento una serie di crimini, dalla droga agli omicidi, operando sul cosiddetto deep web».
La chiameremo Anna, per tutelare la sua identità. E che il rapimento ci sia stato e lei sia stata drogata con la ketamina non sono questioni messe in dubbio dagli investigatori. Ma è anche tremendamente vero che numerosi dettagli non quadrano. A cominciare da una domanda che gli investigatori della squadra Mobile rivolgono all’improvviso ad Anna, causandole lacrime copiose: «Ma non le sembra strano andare a comprare delle scarpe con il suo rapitore?», perché anche questo è successo e, ovviamente, la commessa, individuata dai poliziotti, l’ha riconosciuta, e ha riconosciuto quello che lei chiama MD. Il carceriere dal cuore gentile, «che mai mi ha molestato sessualmente, è vietato dalle regole» e il sedicente “membro di livello 12” della “Morte nera”, non è più sconosciuto.
È Lukasz Pawel Herba. Ha appena compiuto trent’anni ed è stato beccato senza fatica: ha accompagnato la modella sin dentro il Consolato inglese di Milano, dove c’erano gli agenti: «Forse questo è cretino», è l’impressione che si scambiano i detective. E se la modella assicura in tre interrogatori di aver visto in azione ai suoi danni cinque persone, al momento ce n’è un’altra e basta. E cioè il fratello maggiore di Herba. Il quale Herba ha anche un computer: e non appare collegato ad alcun gruppo misterioso. È lui a spedir via Internet foto, mail, domande di riscatto. Un tuttofare del crimine informatico.
Ma com’è che Anna — ieri accompagnata dall’avvocato Stefano Pesce in una fitta serie di sopralluoghi investigativi — racconta questa sua storia di terrore? Arriva a Milano per una pubblicità, va in albergo, riposa, il mattino successivo, invece di incontrare un fotografo, cade nella trappola: «Una persona da dietro mi ha messo una mano sul collo e una sulla bocca, su entrambe le mani indossava guanti neri. Una seconda persona si è posta di fronte, indossava un passamontagna nero». Le fanno «un’iniezione nell’avambraccio destro», nonostante lei indossasse «un giubbino a maniche lunghe, tipo chiodo, di colore rosa. Nel frattempo mi sono sentita mancare l’aria (...) Quando mi sono ripresa avevo unicamente il body rosa di ciniglia e i calzini che indosso ora». Era «nel baule di un’auto», senza più i suoi vestiti.
Nel viaggio verso il covo-prigione, dove rimarrà cinque giorni, è sveglia. La familiare blu su cui viaggiano in tre fa «quattro soste», lei vede in faccia uno dei sequestratori, un «quarantenne magro, capelli castani, con caratteristiche che potevano essere polacche, dico questo perché mia madre è polacca»: le si accuccia a fianco. Anche quando sale al secondo piano del casale di campagna, in Piemonte, massimo rispetto per l’ostaggio, anzi arriva MD e le spiega persino che c’è stato un errore di persona e alla fine le toglie le manette e la fa dormire nel letto matrimoniale senza toccarla mai: «Io non dovevo esser presa perché il capo aveva visto sul mio profilo Istagram alcune foto da cui era evidente che sono una mamma con un bambino piccolo e questo era contro le regole ». Un’organizzazione o il parto di una fantasia da mitomani? «Vi fornisco — dice Anna nell’interrogatorio — un biglietto da visita che ieri MD mi ha dato, dov’è indicato un indirizzo email che avrei dovuto contattare per avere informazioni, che io stessa personalmente avrei dovuto veicolare ai mass media per fare pubblicità ai Black death, ovvero che per le ragazze rapite la cifra d’asta per la vendita partirebbe da 300mila dollari, ma per invogliare al pagamento si richiede anche una cifra pari a 75mila».
Sconto a parte, le ragazze sono segnate: «MD mi ha spiegato che negli ultimi cinque anni aveva guadagnato oltre 15 milioni di dollari, le ragazze sono destinate ai Paesi Arabi. Almeno tre alla settimana sono vendute e, quando l’acquirente si è stancato della ragazza, la cede ad altre persone. E quando non è più d’interesse viene data in pasto alle tigri(...). Temo per la mia vita soprattutto alla luce del fatto che io vi ho raccontato queste cose e MD mi ha detto che l’organizzazione si avvale di oltre 10mila affiliati in Europa».
Gente tosta, dunque, ma MD è talmente generoso da aver pagato 250mila dollari del riscatto. Gli altri 50 mila «devo darglieli io dopo la liberazione e devo indicare tre persone facoltose che conosco». Può essere?
Ai poliziotti il formidabile Herba ha spiegato che, molto malato di leucemia e alla disperata ricerca di denaro, è entrato in contatto con «dei rumeni di Birmingham»: sono loro i capi, lui ha eseguito, e che poteva fare? Sarà, non sarà, certo è la “Morte nera” è impregnata di paura virtuale, da quando un suo sedicente emissario è arrivato a Milano, ha avuto la sfortuna d’impattare contro il muro reale della procura antimafia e della squadra Mobile: e a Herba non basterà un clic per uscire di galera.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Drogata e nascosta in un casolare in Piemonte “Liberata soltanto perché sono mamma”
LA PRIGIONE
In alto una poliziotta simula il modo in cui la modella è stata chiusa nella valigia A sinistra, Herba Lukasz Pawel, il 30enne polacco accusato di aver rapito e segregato la donna. In basso il locale su via Bianconi, a Milano, dove era stato montato il falso set fotografico per attirare la modella

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