la questione immigrati
IL CASO / INTERPELLATA DALLA GUARDIA COSTIERA SUBITO DOPO IL GRAN RIFIUTO
PALERMO.
Un piede nudo immobile sotto una sacca di plastica azzurra, poi un ragazzo rannicchiato in posizione fetale sotto un cumulo di magliette. I corpi li hanno visti, come sempre, alla fine, quando dal quel gommone grigio ormai quasi del tutto sgonfio hanno tirato su 119 persone: tre donne e cinque uomini che non ce l’hanno fatta a resistere a una traversata di sole 12 ore, uccisi probabilmente dalle ustioni di acqua e carburante o dalle violenze subite in Libia. Li hanno composti pietosamente sotto teli grigi sul ponte della nave e per quasi 48 ore hanno continuato a salvare persone portandoseli dietro in attesa di capire da Roma cosa farne, come comportarsi e se avrebbero avuto il permesso di sbarcare le salme in qualche porto siciliano. Perché da lunedì, da quando i rappresentanti di Sos Mediterranèe e Msf si sono rifiutati di firmare il codice di comportamento delle Ong voluto dal Viminale, la Aquarius è una nave fuori dal sistema di ricerca e soccorso riconosciuto e coordinato dall’Italia. Almeno sulla carta.
La realtà però è un’altra. Ed è quella raccontata dalle cronache dei soccorsi degli ultimi due giorni che hanno visto tornare in zona Sar e operare tutte le navi umanitarie, schierate come sempre davanti alle coste libiche: quelle delle Ong “cattive”, come la Vos Prudence di Msf, la Aquarius di Sos Mediterranèe e la tedesca Sea eye e quelle delle Ong “buone”, come la Phoenix di Moas e la Vos Hestia di Save the children. Come sempre #togetherforrescue, come recita l’hashtag da loro scelto per dar conto delle ultime attività in area Sar.
Tra di loro, gli equipaggi delle Ong hanno continuato a collaborare, ma le ultime 48 ore sono state un duro banco di prova per la centrale operativa della Guardia costiera costretta a fare i conti, da una parte con l’urgenza dei soccorsi, dall’altra con le regole del nuovo codice che impongono a Roma di tener conto, nel coordinamento dei salvataggi, solo delle navi delle Ong che hanno accettato le rigide regole di comportamento volute dal Viminale.
E così, ieri mattina, dopo aver prima ordinato alla Aquarius di recuperare i migranti salvati da un mercantile e consegnarli all’equipaggio della Ong spagnola Open Arms (tra quelle firmatarie del codice), la centrale operativa ha deciso che a portare le salme delle otto vittime in Italia non sarà la nave di Sos Mediterranèe ma la Vos Hestia di Save the children (anche questa in regola) al termine di un non semplice trasbordo dei corpi che avverrà probabilmente all’alba visto che le due navi ieri erano ancora abbastanza lontane. «È sempre incredibilmente doloroso vedere l’espressione del viso di queste donne e questi uomini che non ce l’hanno fatta. Che orribili morti inutili», dice angosciata Margherita Colarullo, capo missione di Msf a bordo della Aquarius. Una pena lenita solo dall’adrenalina dei soccorsi andati a buon fine.
( a. z.)
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IN PRIMA LINEA
Migranti aspettano di sbarcare dalla nave Aquarius della ong Sos Mediterranée, che li ha soccorsi a largo della Libia. Nonostante l’associazione non abbia firmato il codice delle ong, la nave continua a soccorrere su richiesta della Guardia costiera