21/7/2017
il caso roma
Solo 250 anni di carcere a fronte dei 500 richiesti Domiciliari e scarcerazioni, in cella restano in cinque Il “Cecato”: voglio uscire. Gli sarà revocato subito il 41 bis
Pene esemplari per Carminati, Buzzi e gli altri ma i giudici fanno cadere l’accusa più grave
FEDERICA ANGELI
ROMA.
Quel che resta di Mafia capitale è solo il nome dell’inchiesta e 250 anni di carcere (a fronte dei 500 chiesti). Alle 13 di ieri, nell’aula bunker di Rebibbia, dopo 230 udienze del maxiprocesso, è arrivata la sentenza che ha cancellato l’impianto accusatorio della procura di Roma. Crolla l’associazione a delinquere di stampo mafioso, restano in piedi tutte le contestazioni mosse dal pool Antimafia — i pm Luca Tescaroli, Giuseppe Cascini e l’aggiunto Paolo Ielo — tranne una: il 416 bis.
Massimo Carminati, Salvatore Buzzi e gli altri 44 imputati, finiti alla sbarra in 19 con l’accusa di associazione a delinquere di stampo mafioso, i restanti per reati che vanno dalla corruzione alla turbativa d’asta, non sono stati condannati per mafia. Il 416 bis è stato derubricato ad associazione a delinquere finalizzata alla corruzione. La più grande mai scoperchiata nella capitale, ma senza l’aggravante mafiosa. La battaglia processuale della procura di Roma contro gli agguerriti avvocati si era giocata tutta su questo: la sussistenza o meno, in punto di diritto, del 416 bis. Che alla fine non ha retto.
Su 46 imputati, solo 5 sono stati assolti, tra questi Giovanni Fiscon, assistito dall’avvocato Salvatore Sciullo, l’unico sempre presente a tutte le udienze, tranne due. Gli altri sono stati tutti condannati. Anche se in carcere ne restano solo 5: Massimo Carminati, che ha avuto 20 anni ed ora uscirà dal regime del 41 bis in cui era detenuto dal giorno dell’arresto; Salvatore Buzzi che di anni ne ha avuti 19; i due uomini di fiducia del Cecato l’ex nar Riccardo Brugia (11 anni) e lo “spaccapollici” Matteo Calvio (9 anni); Fabrizio Franco Testa, ex manager Enav e tuttofare della coppia ai vertici dell’associazione (11 anni). Luca Gramazio, ex capogruppo Pdl prima in Comune e poi alla Regione Lazio, condannato a 11 anni, torna invece agli arresti domiciliari e conoscerà per la prima volta il suo bambino, nato mentre era in una cella a Rebibbia che mai ha voluto vedere da carcerato.
Tutti gli altri — politici, imprenditori e pubblici amministratori — sono donne e uomini liberi, seppur condannati a pene durissime. Ad avere la peggio da questa sentenza sono stati proprio loro quelli “del mondo di sopra” a cui il collegio ha inflitto condanne superiori a quelle richieste in requisitoria dalla procura di Roma. È il caso ad esempio di Mirko Coratti, ex presidente Pd dell’assemblea capitolina della giunta Marino: 4 anni la richiesta 6 anni la condanna. O del dirigente dell’Ufficio Giardini Claudio Turella, trovato al momento dell’arresto con 500mila euro in contanti nascoste in buste col timbro del Comune, murate in una intercapedine di casa sua: 9 invece di 7 anni. Ma anche Luca Odevaine, l’ex componente del Tavolo tecnico sull’immigrazione al ministero dell’Interno, 6 anni e 6 mesi invece dei 2 e mezzo. Soddisfazione sui volti di legali e condannati, amarezza nei pm. Le sentenze vanno rispettate — dice in aula l’aggiunto Ielo — Questa ci dà torto su alcuni aspetti ma in altri riconosce il lavoro svolto. Aspetteremo le motivazioni per capire». Poco dopo l’annuncio di un sicuro ricorso in Appello.
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ELLEKAPPA
IL VERDETTO
Tutti in piedi per la lettura della sentenza di primo grado con cui alle 13 di ieri, nell’aula bunker del carcere di Rebibbia,si conclude, dopo 230 udienze, il maxiprocesso a “Mafia capitale”. La sentenza ha cancellato l’impianto accusatorio della Procura di Roma, non riconoscendo l’associazione a delinquere di stampo mafioso
FOTO: ©ALESSANDRO SERRANO’
LA PRIMA CITTADINA
La sindaca di Roma Virginia Raggi nell’aula bunker di Rebibbia, in attesa della sentenza dei giudici sul processo di “Mafia capitale”. «Hanno ucciso Roma, oggi vincono i cittadini» ha commentato dopo