Il prefetto di Torino apre ai permessi di soggiorno per i richiedenti asilo assunti in fabbrica. Politici e imprenditori gioiscono. Intanto tagliano i salari in una zona con disoccupazione giovanile al 40%
di MAURIZIO BELPIETRO
Come si fa ad abbassare il costo del lavoro se non si è in grado di ridurre le tasse sul lavoro?
Semplice: è sufficiente far lavorare gli immigrati al posto degli italiani. Già tempo fa una ricerca della Cgia di Mestre dimostrò che gli stranieri percepiscono in media un salario che è inferiore anche di un terzo rispetto a quanto incassato dagli autoctoni, ma ora gli imprenditori hanno la possibilità di risparmiare anche i due terzi della busta paga.
Basta infatti ingaggiare non gli extracomunitari con regolare permesso di soggiorno; ma direttamente i profughi, anche quelli ancora sprovvisti dello status di rifugiato, cioè la maggioranza.
La rivoluzione, così la definisce il principale giornale sabaudo, arriva da Torino. Nel capoluogo regionale è consentito l”impiego nelle fabbriche della zona di migranti in attesa di definizione della propria pratica di protezione umanitaria. Tradotto, significa che i giovanotti ospiti dei centri di accoglienza, e il cui destino di profugo non è ancora stato definito dalle commissioni chiamate a valutare la domanda, nell'attesa possono essere utilizzati nelle aziende come normali lavoratori.
La soluzione escogitata pare la seguente: una specie di stage formativo per imparare un mestiere, senza retribuzione, ma con un pagamento limitato al rimborso spese. Superato il periodo, gli aspiranti profughi possono essere inquadrati con un contratto di apprendistato. In pratica, in questo modo gli extracomunitari non solo ottengono un salario, anche se limitato, ma hanno la possibilità di vedere accolta la richiesta di restare in Italia. Con il trucco dell'integrazione e della formazione, inizialmente gratuita, gli immigrati trovano casa e lavoro.
Tutto nasce dalla richiesta di un gruppo di aziende torinesi, che a inizio marzo hanno scritto al prefetto chiedendo una procedura speciale per i ragazzi ospiti dei centri di accoglienza. Piccole imprese edili, artigiani e cooperative, aziende agricole e ristoratori, quattro mesi fa si rivolgono al
rappresentante di governo sollecitando un modo che consenta loro di assumere immigrati. «Questi ragazzi hanno imparato un mestiere», mettono nero su bianco gli imprenditori, «e sono diventati risorse fondamentali per le nostre imprese. Chiediamo solo di poter proseguire il percorso intrapreso». Insomma, date loro un permesso che ci consenta di continuare a farli lavorare anche se non hanno diritto a restare in Italia.
Detto fatto. Nonostante i giovani interessati non siano né perseguitati né in fuga da una guerra, ma semplici migranti economici, e dunque non abbiano secondo legge diritto ad ottenere lo status di
profugo, siccome hanno un lavoro, anche se non assunti perché non è possibile farlo senza un permesso, possono comunque ottenere proprio per motivi di lavoro la protezione umanitaria. Insomma, fatta la legge, trovato 1'inganno. Tutto nel rispetto delle norme, certo: sia mai che un rappresentante dello Stato non metta in pratica i provvedimenti dello Stato. I permessi di soggiorno sono rilasciati con il riconoscimento dei «percorsi di integrazione sociale attraverso l'inserimenti lavorativi». Gli extracomunitari in cerca di lavoro non sono profughi e non dovrebbero stare in Italia, ma siccome ci stanno e siccome pende qualche ricorso contro il diniego allo status di rifugiato, intanto li integriamo facendoli lavorare, poi si vedrà.
«Non è affatto una forzatura», ha dichiarato alla Stampa l'avvocato che presiede l'associazione di studi giuridici sull'immigrazione, «tutto è a norma di legge. Finalmente su questo tema si sta facendo
strada un nuovo indirizzo giurisprudenziale».
Finalmente. Gli avvocati sono contenti. Gli immigrati gioiscono. Le aziende fanno festa perché i contratti di sono retribuiti con somme che oscillano fra i 500 e gli 8oo euro, con contribuzione a carico dello Stato e dunque «fondamentali» per i loro bilanci. Si rallegra anche la politica che in questo modo toglie dalla strada un po' di stranieri, evitando che chiedano l'elemosina agli angoli delle strade. Al dunque, un successo. Con soli due piccoli nei. Come si concilia una misura che attira immigrati come il miele le mosche con le dichiarazioni del segretario del Pd, il quale nel suo recente libro ha scoperto che gli stranieri «non si possono accogliere tutti ma vanno aiutati a casa loro»? E soprattutto, come lo si spiega questo nuovo «indirizzo giurisprudenziale», con cui si dà lavoro a chi nei fatti sarebbe un clandestino, al 40 per cento di disoccupati registrato lo scorso anno fra i giovani piemontesi e al 9 e rotti per cento di disoccupati della zona?
Mah...
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