il vertice del g20
L’analisi.
Dall’idillio con Putin al dissenso sul clima il vertice ha sancito definitivamente che gli Usa vanno per la propria strada. Anche sul commercio mondiale
Il pragmatismo del tycoon con i rivali
FEDERICO RAMPINI
È il G20 degli Uomini Forti e Donald Trump si trova a suo agio. Tanto peggio per chi lo descrive isolatissimo, accerchiato. Vladimir Putin copre di elogi questo presidente: «più pragmatico» (confronto implicito col suo predecessore Barack Obama), con lui si è già «stabilito un rapporto di lavoro», che «migliorerà le relazioni Russia-Usa». Col cinese Xi Jinpingè Trump a eccedere nei complimenti, «abbiamo sviluppato una meravigliosa relazione». Dopo le accuse sul dossier Corea del Nord, ad Amburgo improvvisamente il leader americano cambia tono e «apprezza quel che la Cina ha fatto per quel problema molto sostanziale che tutti fronteggiamo ». Ci scappa pure un fuori programma con Erdogan, per completare il giro degli autocrati nazionalpopulisti, con i quali Trump trova velocemente un’alchimia positiva.
In America il G20 viene percepito come una tremenda débacle, almeno dai media liberal («l’opposizione», direbbe Trump). Dal New York Times alla Cnn è un coro: gli Stati Uniti hanno abdicato alla propria leadership, non sono più loro a dettare l’agenda. C’è un’evidente nostalgia della presidenza Obama, internazionalista, multilaterale, sempre tesa a ricercare soluzioni globali nell’interesse di tutti (o quasi). Colpisce soprattutto il “19 contro uno” sugli accordi di Parigi, con tutti gli altri che dicono: dalla lotta al cambiamento climatico non si torna indietro. Ma la narrazione dell’isolamento coglie solo una parte della realtà. Non restituisce il clima ammiccante fra Trump e Putin, le prove generali di un possibile idillio.
L’effetto Trump più visibile sulla governance globale è l’esplosione alla luce del sole di tutte le divergenze. Nel passato questi summit rispettavano una ritualità molto apparente, fatta di comunicati finali dove tutti sembravano d’accordo su tutto (naturalmente abbassandosi ad un minimo comune denominatore). È il primo G20 che invece prende atto dell’impossibilità di unirsi su obiettivi fondamentali.
La questione di Parigi può essere vista “ottimisticamente” come un 19 a 1, con un Trump isolatissimo come lo descrive la stampa americana, come implicitamente lo vedono Angela Merkel o Greenpeace. In realtà il comunicato finale, oltre a prendere atto che gli Usa escono dagli accordi e faranno da soli, compie un passo in più, con una concessione cruciale strappata dalla delegazione americana: li autorizza a seguire una strada diversa. C’è un passaggio cruciale in cui si consente agli Stati Uniti di «cooperare con altri partner per un utilizzo più pulito ed efficace delle energie fossili», oltre che delle rinnovabili. Tradotto: via libera dal G20 alle esportazioni di gas dagli Stati Uniti all’Europa. Uno scenario che va in direzione opposta alla lotta al cambiamento climatico.
Idem sul commercio estero dove Trump cede – nella stesura del comunicato finale – su una retorica condanna del protezionismo ma in cambio si fa autorizzare il ricorso a «legittimi strumenti di difesa commerciale» contro quei paesi che secondo loro fanno dumping. Vedi: guerra dell’acciaio ormai imminente. (Che con una feroce ironia della storia ci riporta sullo stesso terreno che vide il primo embrione di un mercato unico europeo: la CECA, Comunità del carbone e dell’acciaio, primi anni Cinquanta. Con la differenza non marginale che oggi gran parte dell’acciaio europeo è in mano a potenze emergenti, soprattutto colossi indiani).
Sempre a proposito delle finzioni che vanno in frantumi, invece della sceneggiata armoniosa abbiamo una Merkel che parla in modo duro di «profonde divergenze con Erdogan». Il quale però va a cercarsi una sponda da Trump, lui sì disponibile a negoziare su tutto, pur di rimanere alcentro dell’azione. L’apertura di credito da parte di Putin è probabilmente quanto di più concreto resterà di questo G20. Trump ignora i miasmi letali del suo Russiagate e cerca di fare quel che promise in campagna elettorale: un grande accordo con questa Russia, che gli è congeniale.
Insistere sull’isolamento di Trump non tiene conto degli umori della sua base elettorale: per la quale va benissimo un presidente che volta le spalle al G19 e difende un interesse strettamente nazionale. Resta il duo Merkel-Macron a inseguire l’alternativa di un rilancio dell’Europa unita, come contrappeso all’isolazionismo americano. Sbocco possibile, interessante, purché sia europeo. La convocazione- lampo di una “Parigi Due” sull’ambiente, annunciata da Macron, si presta al sospetto che ci sia dietro soprattutto il classico prestigio nazionale.
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Per i suoi elettori rimane l’uomo forte che volta le spalle al G19 e difende l’interesse nazionale Il documento finale dell’incontro fa una concessione cruciale sulle energie fossili
L’INCONTRO
La stretta di mano fra Donald Trump e il presidente cinese Xi Jinping