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Venti di guerra

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la sfida di kim
Lo scenario.
Dallo Scudo all’attacco mirato Ma per Mattis sarebbe “la peggiore delle guerre”

E se il Pentagono rispondesse? Ecco gli scenari da scongiurare
FEDERICO RAMPINI
DONALD Trump accusa la Cina di aggirare le sanzioni su Pyongyang (vero) e minaccia di «fare da solo» per piegare la minaccia nuclear-missilistica nordcoreana. Cosa intende? Un’ipotesi è militare: l’attacco preventivo. Viene avvalorata indirettamente dal comandante supremo delle forze alleate Usa-Corea del Sud, il generale Vincent Brooks di stanza a Seul: «Solo il nostro autocontrollo, che è una scelta, ci separa da una guerra. E questa scelta possiamo cambiarla se ce lo ordinano i governi alleati» (cioè Trump e il suo omologo Moon Jae-in). Da Washington un portavoce del Pentagono, il capitano Jeff Davis, aggiunge: «Siamo in grado di difenderci contro un missile intercontinentale lanciato da Pyongyang », del tipo di quello sperimentato il 4 luglio.
I wargame o simulazioni di guerra che Trump ha sulla sua scrivania, sono di vari tipi. Si va dallo scudo anti-missile che combina varie tecnologie americane ed è già stato messo alla prova abbattendo un Icbm (Inter- continental Ballistic Missile) analogo a quello che potrebbe lanciare la Corea del Nord. Lo scudo anti-missile usa sistemi Patriot, Hawk e soprattutto il più recente Thaad (Terminal High Altitude Area Defense). Gli americani hanno già fornito queste difese alla Corea del Sud e ne trattano la fornitura anche al Giappone. Restano però un livello al di sotto del celebre Iron Dome dispiegato da Israele. E comunque la postura difensiva non è necessariamente una soluzione. Può una superpotenza come l’America accontentarsi di parare il colpo, e vivere comunque sotto l’assillo di una minaccia permanente?
Di attacchi preventivi per neutralizzare la Corea del Nord si parla dai tempi di Bill Clinton, quando segretario alla Difesa era William Perry. Quei piani vengono aggiornati e perfezionati continuamente, perché il presidente di turno possa inserirli fra le sue opzioni. Esiste nei wargame il piano di un’invasione massiccia, anche terrestre: uno dei più delicati politicamente. Attraversare il confine maledetto e impropriamente chiamato De-militarized Zone (Dmz) equivale a una violazione dell’armistizio, evoca quella guerra di Corea che si concluse nel 1953 e nella quale fu decisivo l’intervento dei cinesi contro gli americani, voluto da Mao Zedong. Potrebbe Xi Jinping stare a guardare un’invasione del suo alleato, per quanto scomodo e indisciplinato?
Uno dei piani di guerra costantemente aggiornato dai tempi di Clinton-Perry prevede un “colpo chirurgico” per distruggere un impianto nucleare nordcoreano. È analogo a piani che furono elaborati e discussi per fronteggiare il programma nucleare dell’Iran. Con delle varianti geopolitiche di peso: l’Iran non aveva un protettore come la Cina; e in quel teatro strategico l’America avrebbe potuto contare su un appoggio prezioso ed efficiente da parte di Israele (né il Giappone né la Corea del Sud dispongono di reti di intelligence del valore di quelle israeliane). Come in Iran, comunque, anche in Corea del Nord gli impianti di costruzione e stoccaggio di armi atomiche sono nascosti in aree montagnose, inaccessibili, che forse neppure le “super-bombe” americane dell’ultima generazione possono annientare con ragionevole grado di certezza.
Poi c’è il problema della contro- reazione, uno scenario da Apocalisse. Il New York Times cita a questo proposito un documento del Nautilus Institute, specializzato in studi geostrategici e militari, che stima il bilancio della rappresaglia in centinaia di migliaia di morti prevalentemente fra i civili sudcoreani. Dai tempi di Clinton- Perry molto è cambiato, in peggio. La Corea del Nord oggi forse ha venti bombe atomiche pronte all’uso – mentre negli anni Novanta era solo ai primi stadi della preparazione – più arsenali chimici e biologici. Seul dista appena 45 chilometri dal confine e offre un bersaglio ghiotto per un dittatore sanguinario come Kim Jong-un: dieci milioni di abitanti. Sempre in base alle stime del Nautilus Institute riportate sul New York Times, Pyongyang tiene 8.000 cannoni e lancia-razzi puntati verso il confine meridionale a poca distanza dalle concentrazioni urbane. Solo nelle prime ore di un conflitto, in base a questo scenario, i morti sarebbero trentamila. E tutto questo prescinde da due incognite ulteriori, una antica e l’altra nuovissima. La prima è il comportamento della Cina. La seconda è la possibilità che Kim tenti di colpire con un missile il territorio Usa, quantomeno la sua propaggine più vicina che è l’Alaska. Come ha detto l’attuale segretario alla Difesa, John Mattis, «sarebbe la guerra peggiore che l’umanità abbia mai visto». Da questo punto di vista Kim ha raggiunto il suo obiettivo: si è dotato di un deterrente che spaventa la massima superpotenza mondiale e lo rende, se non proprio invulnerabile, molto difficile da colpire. Alla fine Trump dovrà accontentarsi più probabilmente di un nuovo giro di sanzioni, cioè la stessa strategia che si è dimostrata inutile fin qui.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Il generale Usa Brooks “Solo l’ autocontrollo, che è una scelta, ci separa da un conflitto” La stima del bilancio della contro-rappresaglia?
Centinaia di migliaia di morti fra i civili sudcoreani
FOTO: © KCNA/ REUTERS

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