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Alla ricerca del fantasma di Lenin

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MONDO
IL REPORTAGE

DALLA NOSTRA CORRISPONDENTE
ROSALBA CASTELLETTI
FOTOGRAFIE DI NIELS ACKERMANN

Nel ’90 in Ucraina c’erano 5.500 statue del leader comunista: più che in ogni altra repubblica ex Urss. Oggi sono abbandonate in cantine e parchi
MOSCA
La statua di Vladimir Lenin che, alta oltre tre metri, per 67 anni ha dominato il Boulevard Taras Shevchenko di Kiev non c’è più. È stata demolita la notte dell’8 dicembre 2013 dai manifestanti ucraini scesi in strada contro l’allora presidente filorusso Viktor Janukovich. Resiste, vuoto, il piedistallo che occupava dal 1946. L’abbattimento della statua del padre della Rivoluzione bolscevica di cui quest’anno ricorre il centenario fu uno dei momenti più drammatici della cosiddetta Rivolta ucraina passata alla storia come l’Euromajdan. Fu l’inizio di un domino di monumenti. Un fenomeno a cui è persino stato dato un nome: «Leninopad» o «Caduta di Lenin», la rimozione di tutte le statue dedicate al leader comunista dall’Ucraina.
Non è certo la prima volta che si rovesciano monumenti e si rimuovono dallo spazio pubblico per ridefinire lo spazio culturale e ideologico. Abbattere il monumento è sempre stato un gesto simbolico: da Saddam a Gheddafi, i busti dei tiranni che per anni hanno oppresso con la loro ombra i Paesi soggiogati sono stati i primi a cadere dopo la sconfitta. Come pedoni su una scacchiera. E già il tramonto dell’Urss era stato segnato dal rito dello smantellamento delle sculture sovietiche.
Nel 1990 vi erano 5.500 statue di Lenin disseminate per tutta l’Ucraina, molto più che in ogni altra ex Repubblica Sovietica.
Erano 7mila in Russia che è però ventotto volte più grande.
Quando nel 1991 l’Unione Sovietica si sbriciolò e l’Ucraina dichiarò l’indipendenza, le statue di Lenin che un tempo venivano guardate con reverenza, vero e proprio pilastro dell’ideologia comunista, divennero mere vestigia del passato.
Metà scomparirono subito dopo. Ma migliaia sopravvissero persino alla furia demolitrice della Rivoluzione arancione del 2004.
L’Euromajdan le ha spazzate via perché simbolo non solo del comunismo e dell’eredità sovietica, ma anche dell’imperialismo russo. La falciata finale l’ha data la legge sulla “decomunizzazione” del Paese approvata il 21 maggio 2015 dalla Rada, il Parlamento ucraino. Vietati tutti i simboli del suo passato sovietico: inno, mosaici, bandiere e toponimi. Nel villaggio di Kalini, via Lenin è stata ribattezzata via John Lennon. Il centro portuale Illichivsk è diventato Chornomorsk, la Città sul Mar Nero. Anche marchi, aziende e squadre di calcio hanno dovuto cambiare nome. E i manuali scolatici sono stati editati: la “Seconda Guerra Mondiale” ha preso il posto della “grande guerra patriottica”. Lo scorso dicembre l’Istituto ucraino per la memoria nazionale ha snocciolato i numeri di quest’operazione iconoclasta. In tre anni sono state rinominate 51.493 vie, 25 distretti e 987 centri abitati e sono stati abbattuti 2.389 monumenti d’era sovietica, tra cui ben 1.320 statue di Lenin.
Oggi, ufficialmente, dei busti di Vladimir Ilic che con il loro sguardo severo scrutavano le piazze di villaggi e città dell’Ucraina non ne resta più nessuno. Ma non sono scomparsi.
Hanno trovato “tombe” insolite: il cortile di un’abitazione privata, un campo, il seminterrato di un museo, una discarica di rifiuti, una collezione privata.
Il fotografo Niels Ackermann e il giornalista Sébastien Gobert hanno percorso oltre diecimila chilometri per scovarli. Con il lavoro “Looking for Lenin”, hanno documentato l’inglorioso destino toccato in Ucraina all’idolo comunista decaduto. Il degrado, l’abbandono e talora il sacrilegio. Come a Odessa, dove l’uomo che qualcuno tuttora chiama affettuosamente “Djadja Volodja”, “Zio Vlad”, ha assunto le sembianze di Darth Vader.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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