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Due ergastoli per una strage la giustizia mette la parola fine su piazza della Loggia

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cronaca
Definitiva la condanna per il neofascista Maggi e la spia Tramonte Il verdetto della Cassazione nella notte. I parenti delle vittime: era ora

PIERO COLAPRICO
MILANO.
È la prima condanna per una strage politica. Confermati gli ergastoli per il capo fascista di Ordine Nuovo nel Veneto e per l’uomo dei servizi, una coppia che rappresenta una sorta di “summa” della strategia della tensione. Sarà preistoria, archeologia, passato lontanissimo, ma esiste dunque una prima volta, ed è questa, nelle inchieste contro chi ha insanguinato l’Italia, specie al Nord. Questa doppia condanna, emessa a Milano nel 2015 e confermata dalla Cassazione ieri alle 23.20, dopo cinque ore di camera di consiglio, segna un confine. Dice che i responsabili accertati degli otto morti e dei 102 feriti di piazza della Loggia a Brescia sono Carlo Maria Maggi, ex capo di Ordine Nuovo per il Triveneto, ultraottantenne, malato, ma non come vuol far credere, si legge nelle perizie, e Maurizio Tramonte, reclutato il 3 ottobre 1973 dal centro servizi segreti di Padova e iscritto a libro paga, su autorizzazione del generale Adelio Maletti, come «fiduciario a rendimento», e pagato come “Fonte Tritone”.
Il primo, che abita a Venezia, alla Giudecca, stando alle carte giudiziarie, ha messo l’idea, la violenza, l’esplosivo, i contatti con la manovalanza, il secondo, che oggi ha 65 anni e vive in Puglia, s’è dedicato a un lungo e tortuoso doppio gioco, tacendo con i servizi segreti anche la sua oscura presenza in piazza della Loggia il giorno dell’attentato. Ma le nuove tecnologie l’hanno perduto: in una foto, scattata in piazza dopo l’esplosione della bomba nel cestino, è stato riconosciuto e identificato senza dubbio. E sono emerse le sue amicizie con gli stragisti.
Quarantatré anni dopo le 10.02 di quel 28 maggio 1974, questa sentenza, che arriva in un’Italia totalmente diversa da quella degli Anni di Piombo, riesce ad avere due meriti. Uno, umanissimo, è «far riposare i nostri morti, che adesso hanno trovato un posto dove stare e poter dirci dal passato «Non è successo invano», visto che quella — come spiega Manlio Milani, sopravvissuto alla strage in cui ha perso la moglie — era una manifestazione contro la violenza. E oggi, con questa conferma degli ergastoli, abbiamo trovato un senso a tutti questi anni d’attesa, siamo finalmente dentro la storia di questo Paese. C’era chi ci voleva umiliare, invece abbiamo portato avanti i valori della legalità, insieme a magistrati, investigatori, pezzi di Stato per bene. Siamo memoria, ma serviremo ancora».
Infatti, secondo merito, la sentenza di ieri esprime politicamente quanto lo stragismo italiano avesse una precisa matrice di destra, lo si può affermare non più dal punto di vista esclusivamente storico, ma giudiziario. E impressiona quanto la sentenza riecheggi oggi le clamorose e dimenticate dichiarazioni di un neo-fascista che non s’è pentito mai, ma ha preso le distanze dalle false rivoluzioni italiane, Vincenzo Vinciguerra, ergastolano, il quale, responsabile di un’altra strage, quella di Peteano, raccontò che «tutte le stragi che hanno insanguinato l’Italia appartengono a un’unica matrice organizzativa ». E cioè: a pensare alle stragi e a piazzare le bombe, la gelignite e il plastico, sono stati sempre e solo i fascisti, con pezzi di servizi segreti nazionali e stranieri, un assalto alla gente comune in chiave anticomunista.
Per arrivare sino alle condanne di ieri ci sono voluti quattordici processi e, come ha scritto nella sentenza d’appello (le motivazioni sono uscite nell’agosto 2016) la giudice milanese Anna Conforti, «il risultato» dei tanti depistaggi, da parte di uomini dello Stato, «è stato devastante per la dignità stessa dello Stato e della sua irrinunciabile funzione di tutela delle istituzioni democratiche, visto che sono solo un leader ultra ottantenne e un non più giovane informatore dello Stato a sedere oggi sul banco degli imputati», e ieri condannati a due ergastoli, «mentre altri parimenti responsabili hanno lasciato questo mondo o anche solo questo paese, ponendo una pietra tombale sui troppi intrecci che hanno connotato la mala-vita anche istituzionale all’epoca delle bombe».
È lo stesso concetto che ieri ha sottolineato nella requisitoria il procuratore generale Alfredo Viola, suggerendo come «la coltre di fumo sollevata dall’esplosione della bomba si fosse propagata sull’Italia intera». Ma aggiungendo comunque che adesso è stato «possibile accertare le responsabilità, anche se ci sono voluti anni per rimuovere gli effetti d’indagini errate, o volutamente errate (…) ma siamo determinati a porre la parola “fine” ». E così è stato. E anche, così è Stato, con la S maiuscola.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
L’ATTENTATO
Il 28 maggio del 1974, alle 10.12, durante una manifestazione antifascista in piazza della Loggia a Brescia, una bomba uccide otto persone e ne ferisce altre centodue
IN CONTUMACIA
Dall’alto Maurizio Tramonte, 65 anni, e Carlo Maria Maggi, 82 anni, condannati definitivamente all’ergastolo per la strage


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