il disastro della concordia
Pena definitiva dopo la pronuncia della Cassazione Il comandante a Rebibbia: “Ma io credo ancora nella giustizia”
PAOLO G. BRERA
ROMA.
Il comandante Schettino dovrà trascorrere sedici anni in carcere, per la notte sciagurata dell’inchino al Giglio. Pena confermata in Cassazione, la stessa comminata in primo grado e ribadita in appello, con un piccolo sconto di un mese per un’ammenda cassata. «Schettino questa sentenza se l’è ampiamente meritata. Per le sue bugie e per il poco rispetto nei confronti delle vittime», dice Elio Vincenzi, il marito di Maria Grazia Trecarichi i cui resti sono stati identificati, grazie al Dna, due anni dopo la tragedia.
Alle 20, quando la corte della IV sezione penale di Cassazione ha appena letto la sentenza che scrive la parola fine alla vicenda, nei due piani d’ascensore per lasciare il Palazzaccio c’è tutta l’amarezza del team legale del comandante: «Paga solo lui. A Genova, nella sede della compagnia, saranno già tutti a brindare, per questa condanna». Sono trascorsi cinque anni e quattro mesi dal 13 gennaio 2012 in cui la Costa Concordia, un gigante del mare da mezzo miliardo di euro in crociera con 4.229 persone a bordo, si portò via 32 vite schiantandosi sugli scogli delle Scole, che trafissero lo scafo per 70 metri; e poi accasciandosi su un fianco sulle acque basse della rada di Giglio Porto, dopo una manovra analizzata al microscopio dai periti.
Il comandante Schettino sapeva di essere al capolinea e «ha atteso la notizia davanti al carcere di Rebibbia», pronto a costituirsi. Ma il suo difensore Saverio Senese, che in una lunga requisitoria ha tentato di smontare punto per punto la sentenza d’appello chiedendo che venisse cancellata per «14 omissioni e travisamenti di prove», ha sperato fino all’ultimo che i giudici annullassero quantomeno il comparto relativo agli omicidi, se non quello del naufragio. Cioè che riconoscessero la presunta arbitrarietà con cui, secondo la difesa, le morti erano state attribuite a un «irresponsabile ritardo» nel decretare l’abbandono della nave.
«Se avesse davvero ordinato di lasciare la nave a 800 metri dalla costa — dice Senese — lo scarrocciamento avrebbe travolto le scialuppe e sarebbe stata una strage immane». Una tesi che i periti dell’Avvocatura, in attesa dei giudici riuniti in camera di consiglio, hanno bocciato come inconsistente: «Bastava utilizzare il mezzo marinaio per scostare le scialuppe, con quelle condizioni di mare e vento era un’operazione banale».
La Cassazione, però, ha respinto anche il ricorso della procura: chiedeva di inasprire la condanna a 26 anni con l’aggravante decisiva della “colpa cosciente” in quella manovra di accosto che ha ritardato l’esodo condannando a morte chi è rimasto nella parte sommersa quando la nave si è distesa su un fianco nel buio della notte. Risalire l’inclinazione, nei corridoi ormai invasi dall’acqua, era diventato impossibile.
«Avevano bisogno di crocifiggere qualcuno, hanno crocifisso Schettino», dice Senese che pensa a un ricorso «alla Corte europea dei diritti umani, perché qui sono stati certamente violati». Per il Comitato giustizia per la Concordia «si chiude un capitolo importante», sì, ma «peccato sia solo Schettino a entrare in carcere».
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Il marito di una donna morta “Quell’uomo è un bugiardo e si è meritato la condanna” La difesa: “L’hanno crocifisso”
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