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NON DIAMO COLPE ALL’ASSE FRANCO-TEDESCO

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FERDINANDO GIUGLIANO
SE C’È qualcosa che non manca mai alla classe dirigente italiana è la creatività nel trovare scuse con cui auto-assolversi per la crisi del Paese. Dopo la “Germania matrigna” e “i burocrati di Bruxelles”, il nuovo spauracchio è l’“asse Franco-Tedesco”, che si appresterebbe a cambiare le regole dell’eurozona senza consultare l’Italia, o addirittura penalizzandola.
Siamo un po’ come lo studente che si lamenta di non aver fatto i compiti perché i due compagni più bravi non lo hanno lasciato copiare. Non c’è infatti nessuna ragione per cui l’Italia non possa partecipare a un eventuale progetto di completamento delle istituzioni economiche che sorreggono la moneta unica. Il problema è che per farlo servono credibilità e disponibilità al compromesso — due doti che latitano nella nostra politica.
L’idea che si sta facendo spazio in Italia è che le elezioni in Germania e in Francia di quest’anno avvieranno una sorta di conventio ad excludendum contro il nostro Paese. Il primo passo è avvenuto domenica scorsa con l’elezione dell’europeista Emmanuel Macron alla presidenza della Repubblica francese. Il secondo arriverà in autunno, quando le elezioni federali tedesche produrranno verosimilmente un nuovo governo di grande coalizione guidato dalla cancelliera Angela Merkel. Il timore è che a quel punto Parigi e Berlino comincino a lavorare da soli a un’agenda che metta sul piatto temi cruciali come il completamento dell’unione bancaria, il rafforzamento del monitoraggio sui conti pubblici degli Stati membri dell’eurozona, o l’ideazione di primi elementi di una politica di bilancio comune.
Non vi è dubbio che i rapporti fra Francia e Germania siano destinati a migliorare: il governo tedesco riconosce a Macron un’autorevolezza che mancava al suo predecessore François Hollande. Le burocrazie ministeriali dei due Paesi si conoscono molto bene, e sono pronte a riprendere una collaborazione che si era allentata durante gli ultimi anni. Nelle sue proposte Macron ha mostrato un’attitudine al compromesso che è necessaria per portare avanti la costruzione europea.
Tuttavia, la collaborazione fra Macron e Merkel incontrerà inevitabilmente degli ostacoli. I primi sono di natura storica. Come ha notato Markus Brunnermeier, economista dell’università di Princeton, nel libro “L’Euro e la Battaglia delle Idee”, tedeschi e francesi hanno fondato la loro visione dell’Europa su due principi diversi. A Berlino si sono sempre preferite le “regole”, mentre a Parigi ci si è battuti per la “discrezionalità”. Non è un caso che Macron abbia inserito all’interno del suo programma economico un impegno a riportare il rapporto tra deficit di bilancio e prodotto interno lordo sotto il 3% già quest’anno. Il neo-presidente francese vuole cercare di convincere i suoi interlocutori tedeschi che è pronto a rispettare le regole.
Il secondo ostacolo riguarda le rispettive visioni sul futuro dell’eurozona. Nella sua intervista a Repubblica, il ministro delle Finanze tedesco Wolfgang Schaeuble ha ribadito quale sia il suo modello di integrazione europea: nessuna illusione federalista, ma un rafforzamento della cooperazione tra governi. Come ha notato Vincenzo Scarpetta, analista del think tank Open Europe, si tratta di una visione diversa da quella di Macron, che invece propone un ruolo centrale per il Parlamento europeo.
Lo scenario dei prossimi anni non ha dunque nulla di già scritto. Il nostro Paese avrebbe un ruolo da giocare — se solo avesse la credibilità politica ed economica per farlo. Purtroppo le prossime elezioni italiane difficilmente produrranno un governo stabile, in grado di generare idee forti per riformare l’eurozona e di accollarsi le responsabilità dei compromessi che negoziazioni di questo tipo comportano. Inoltre, la nostra incapacità cronica di crescere a ritmi sostenuti e di ridurre il debito pubblico farà inevitabilmente leggere le nostre posizioni negoziali come un tentativo di mendicare piccoli vantaggi opportunistici. In questo continueremo a scontare anche l’ossessiva ricerca della “flessibilità” da parte di Matteo Renzi nella seconda metà del suo governo, a dispetto di un rallentamento della sua azione riformatrice e di una politica economica fatta di bonus piuttosto che di investimenti.
L’altro limite italiano riguarda la presenza di astrusi paletti negoziali che fanno bene soltanto all’ego di chi li mette. Ad esempio, l’anno scorso Renzi ha posto in maniera molto enfatica un veto a piani che limitino la quantità di titoli di Stato sui bilanci bancari. Questa posizione rende molto difficile qualsiasi progresso verso il completamento dell’unione bancaria che pure l’Italia dice di volere.
L’”asse Franco-Tedesco” rischia dunque di essere solo l’ennesimo capro espiatorio di una classe dirigente senza un disegno strategico. Se la nuova Europa nascerà senza il contributo italiano, la colpa sarà soltanto nostra.
L’autore è editorialista di Bloomberg View
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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