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Meno tasse e più barriere

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l’america di trump
Il presidente designato punta a una svolta protezionista e vuole ridurre le imposte

La “Trumponomics” promette crescita al 4%
FERDINANDO GIUGLIANO
ROMA.
L’elezione di un nuovo presidente può provocare sconvolgimenti nel pensiero economico dominante che vanno ben oltre gli Usa. L’arrivo di Ronald Reagan alla Casa Bianca nel 1981 portò alla ribalta un’agenda di deregolamentazione e tagli delle tasse - la “Reaganomics” - che avrebbe poi fatto scuola in altri Paesi del mondo. Il successo di ieri di Donald Trump ha il potenziale per segnare un nuovo cambio di paradigma. Certo, il
tycoon
repubblicano non è nuovo a retromarce, che potrebbero fargli abbandonare il programma annunciato in campagna elettorale. Tuttavia, da quanto visto fin qui, la “Trumponomics” rischia di avere effetti radicali sull’economia globale, contribuendo a disfare il processo di globalizzazione degli ultimi decenni, a ridurre i poteri delle banche centrali e a far crescere irresponsabilmente il deficit facendo schizzare in alto l’inflazione.
LIBERO SCAMBIO
Il trionfo a sorpresa di Trump negli stati della rust belt come Michigan e Ohio è dipeso in larga misura dalle sue posizioni contro il libero scambio: il candidato repubblicano ha detto di voler imporre dazi del 35% e del 45% sulle merci importate, rispettivamente, da Messico e Cina, e si è opposto al trattato commerciale con una dozzina di Paesi del Pacifico chiamato TPP. Per quanto l’establishment repubblicano possa provare a fermare gli istinti di The Donald, l’era di apertura che ha segnato la presidenza di Barack Obama sembra destinata a concludersi. Gli Usa finiranno per dare un contributo decisivo al ritorno del protezionismo, che sta trovando sempre più accoliti in Europa, a partire da Francia e Germania fino alla piccola Vallonia. Questi cambiamenti avranno però un costo: il Peterson Institute ha stimato che le politiche commerciali di Trump potrebbero far perdere agli Usa 4,8 milioni di posti di lavoro, a causa delle probabili ritorsioni commerciali da parte di Pechino e delle altre capitali.
POLITICA MONETARIA
Donald Trump ha cambiato spesso idea sulla politica monetaria: prima si è espresso a favore della politica di tassi bassi perseguita da quasi dieci anni dalla Federal Reserve dicendo che questa aiuta a rendere il debito pubblico Usa sostenibile. Quest’estate, invece, il neo-presidente americano ha accusato Janet Yellen,
chair della Fed, di tenere i tassi artificialmente bassi per evitare shock durante l’ultima fase della presidenza Obama. La convivenza fra Trump, la maggioranza repubblicana al Congresso e la Yellen rischia di essere complicata: l’ala più estrema del partito vuole ridurre i poteri della Fed, magari sostituendone la discrezionalità decisionale con regole rigide. Se gli attacchi dovessero, com’è probabile, intensificarsi, alla Fed potrebbe toccare una sorte peggiore della Banca d’Inghilterra e della Banca Centrale Europea, che a fatica stanno riuscendo a difendere la loro indipendenza dalle bordate del fronte pro-Brexit e dei politici tedeschi.
TASSE E INVESTIMENTI
Trump non sembra davvero badare a spese nel suo, a dire il vero piuttosto scarno, programma elettorale. Il 45esimo presidente ha promesso un taglio dell’aliquota sui profitti aziendali dal 35% al 15%, oltre a una semplificazione delle tasse sui redditi. A queste e altre misure, che secondo il Committee for a Responsible Federal Budget, potrebbero far aumentare il deficit di oltre 9.500 miliardi di dollari in dieci anni, Trump vuole ora aggiungere un piano di infrastrutture, annunciato ex abrupto nel suo primo discorso da presidente. L’obbiettivo è raddoppiare il tasso di crescita Usa fino a quasi il 4%, ma molti economisti dubitano che questo sia realistico. Di sicuro, una politica fiscale irresponsabilmente espansiva farebbe schizzare in alto l’inflazione: ieri, i titoli di Stato decennali sono saliti sopra il 2% per la prima volta da gennaio in prospettiva di una possibile “riflazione”. Le agenzie di rating hanno però immediatamente segnalato i rischi per i conti pubblici americani: «L’impatto del piano Trump sarebbe negativo per la credibilità dei titoli di Stato Usa, poiché i soli tagli delle tasse non possono generare abbastanza crescita tale da compensare la perdita di gettito», ha scritto Fitch.
CONCLUSIONE
La politica economica di Trump potrebbe rappresentare il primo esperimento su larga scala di rigetto delle misure convenzionali seguite dai Paesi ricchi negli ultimi 25 anni.
L’estrema sinistra e l’estrema destra avrebbero molte ragioni per gioire di questo cambiamento. A tutti gli altri tocca aspettare, e non senza agitazione.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
IL PIANO
Donald Trump promette meno tasse e più barriere protezioniste
FOTO: ©AFP

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