L’AMERICA DI TRUMP
Stop al patto sul clima e muro anti migranti arriva il colpo di spugna
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE FEDERICO RAMPINI
Il Muro è il simbolo di una nazione che vuole il controllo sulla composizione etnica. Non va preso alla lettera, Trump ne ha parlato meno nell’ultima fase. Un pezzo di fortificazione al confine San Diego/Tijuana esiste già e potrebbe essere ampliato parzialmente. Ci sarà un aumento nelle espulsioni di stranieri senza permesso di soggiorno, già in atto del resto sotto Obama. Difficile arrivare ai 6 milioni di espulsioni di cui ha parlato talvolta: ci vorrebbe una militarizzazione del paese, con ricadute imprevedibili sui settori economici che dipendono dal loro lavoro.
Se alza i dazi doganali sulle importazioni si scontrerà con le regole del Wto. Ma Trump s’inserisce in un trend mondiale di rigetto della globalizzazione e lo rafforzerà. Al Congresso avrà qualche problema con i suoi, nel partito repubblicano le lobby confindustriali sono le principali beneficiarie dei grandi trattati. Però troverà una sponda nella sinistra democratica alla Bernie Sanders. Più di tutti ha da perdere la Cina, il Congresso già voleva punirla per manipolazione competitiva della valuta. Con le multinazionali che hanno delocalizzato lui userà la carota anziché il bastone: una sorta di maxicondono per il rientro dei capitali, con un prelievo fiscale ridotto al
(come l’Isis) sono più sfuggenti dell’Urss di una volta.
(come l’Isis) sono più sfuggenti dell’Urss di una volta.
1. IMMIGRAZIONE
“ Costruiremo un Muro e chi vorrà entrare dovrà farlo legalmente. Il Messico pagherà la costruzione. Gli immigrati illegali devono andarsene”
(21 AGOSTO 2016)
2. GLOBALIZZAZIONE
“Non credo nel libero commercio, credo nel commercio intelligente, quello in cui vinciamo noi.
Rinegozierò il Nafta (mercato unico con Canada e Messico) boccerò gli altri trattati negoziati da Obama”
(28 GIUGNO 2016)
3. LAVORO E TASSE
“Sarò il presidente più generoso per l’occupazione che Dio abbia creato”
(8 AGOSTO 2016)
Reaganismo fiscale. Tre sole aliquote d’Irpef federale a 33%, 25% e 12% rispettivamente (oggi la massima è 39,6%). Abbattimento dal 35% al 20% dell’imposta sugli utili societari. Eliminazione della tassa di successione. L’idea è che lasciare più soldi in tasca ai ricchi aumenterà gli investimenti e quindi l’occupazione. I repubblicani sono con lui. Più problematico è il suo piano di maxi-investimenti per ammodernare le infrastrutture, con creazione di «molti milioni di posti». Un boom nel deficit e debito pubblico non piace ai falchi conservatori. Ma può trovare alleanze a sinistra nel Congresso.
4. SANITÀ
“Abrogheremo Obamacare. Lo sostituiremo con qualcosa di molto meglio”(16 AGOSTO 2016)
La riforma sanitaria di Obama fin dall’inizio ha compattato l’ostilità della destra e contribuì alla nascita del Tea Party. È una battaglia di bandiera, popolarissima nella base repubblicana, Trump dovrà farla e avrà i voti al Congresso. Del resto la riforma è piena di difetti, a riprova il maxi- aumento (+25%) nelle tariffe assicurative di quest’anno. Però bisogna offrire qualcosa ai 20 milioni di americani che con quella legge per la prima volta hanno avuto una polizza per le cure mediche. Non ha mai presentato un progetto alternativo, ma la sua vaghezza gli lascia aperte tutte le opzioni.
5. AMBIENTE
“Il cambiamento climatico è un’invenzione dei cinesi per renderci meno competitivi.Questa bufala deve finire”(22 MARZO 2016)
È schierato con Big Oil senza riserve. Vuole ripudiare i limiti di Obama alle trivellazioni marine e agli oleodotti col Canada. Vuole cancellare i divieti locali contro il fracking (trivellazioni orizzontali e altre tecnologie per l’estrazione di petrolio e gas). Rilanciare il carbone per le centrali. E soprattutto ha promesso di stracciare gli impegni presi con l’accordo di Parigi. Il partito repubblicano lo appoggia senza riserve, avrà la strada spianata. Salvo resistenze a livello locale in Stati di sinistra come California e New York.
6. QUESTIONE RAZZIALE POLIZIA, ARMI
“I nostri agenti sono maltrattati e incompresi” (10 dicembre 2015).“Nominerò un giudice che difenda il diritto alle armi”
(18 MAGGIO 2016)
È agli antipodi del movimento BlackLivesMatter. Alle proteste razziali oppone il ripristino di “Law and Order”, legge e ordine. È favorevole alle carceri private, vuole la condanna a morte per chi uccide un poliziotto, è contrario alle videocamere in dotazione agli agenti per documentare eventuali abusi. Ma questo è un terreno dove il presidente conta poco, la polizia è sotto l’autorità di governatori, sindaci, sceriffi e normative locali. Può invece designare alla Corte suprema un giudice che s’impegna a difendere l’interpretazione più oltranzista del Secondo Emendamento sul diritto alle armi.
7. SIRIA E ISIS
“Farò a pezzi lo Stato Islamico. Bombarderò i pozzi petroliferi con cui si finanzia. Ma non invierò le nostre truppe”
(13 GIUGNO 2016)
Non ha mai articolato una politica mediorientale, giustificandosi col fatto che «non si anticipano al nemico i propri piani ». A parte un vago accenno a sequestrare anche i pozzi petroliferi iracheni, la sua attenzione si è concentrata soprattutto sul fronte interno: come impedire che i terroristi islamisti entrino in America. La sua proposta va dai «controlli rafforzati all’ingresso » per chi viene da paesi a rischio, fino agli «esami di religione». Questi ultimi sarebbero incostituzionali oltre che facilmente aggirabili dai veri terroristi. Idem per l’uso della tortura da parte delle forze armate, anche quello illegale.
8. PUTIN
“Lui ha detto che sono un genio. Non sarebbe bello andare d’accordo e unire le nostre forze per schiacciare l’Isis?”
(29 LUGLIO 2016)
Il presidente russo, anche lui grande vincitore di queste elezioni, potrebbe essere ricompensato con la fine delle sanzioni sull’Ucraina e la riammissione al G7 (che tornerebbe G8). Ai paesi europei della Nato, così come al Giappone e alla Corea del Sud, Trump ha promesso di far pagare i costi della loro difesa. La lamentela americana sulle insufficienti spese militari degli alleati è antica e bipartisan. La novità è che si sovrappone a un disgelo con Putin, dalle conseguenze ancora imprevedibili sugli equilibri strategici in Europa, a cominciare da Paesi Baltici e Polonia.
NEW YORK.
«La nostra non è stata una campagna elettorale, ma un grande movimento. Da oggi i dimenticati non lo saranno più», ha detto ieri Donald Trump. E poi: «Sarò il presidente di tutti», aveva promesso subito dopo il voto. Ma Donald Trump cambierà l’America. Lo ha annunciato e lo farà. Continuare a sottovalutarlo sarebbe un errore. Del resto il 60% degli americani considera Trump “impreparato” e tuttavia l’80% desidera “un cambiamento”. Trump deve soddisfarli. È vero che il presidente ha poteri limitati, molto vasti in politica estera, ben più ridotti all’interno del paese dove il Congresso e i singoli Stati prevalgono. Ma Trump ha permesso ai repubblicani di conservare la maggioranza a Camera e Senato, il partito è nelle sue mani, e lui farà nomine decisive alla Corte suprema. È un pragmatico, si concentrerà sulle promesse essenziali, ma nessuno s’illuda che dica “avevo scherzato”: non lo fece neppure in campagna elettorale quando tutti gli consigliavano di essere “meno Trump”. Limiti all’immigrazione e protezionismo commerciale sono i temi forti che lo hanno fatto vincere; su quelli sarà giudicato. Poi: meno ambientalismo. Più poteri alla polizia. Da Putin alla Nato, anche in politica estera si apre una nuova pagina. Il suo modello ideale sarà Ronald Reagan, anche se i nemici di oggi