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PUTIN, L’ALLEATO A DOPPIO TAGLIO

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LUCIO CARACCIOLO
UN MISTERO avvolto in un enigma: la celebre definizione che Winston Churchill diede dell’Unione Sovietica può essere applicata alla politica di Donald Trump verso la Russia — e verso il resto del mondo. Lo stesso presidente eletto non sa fino a che punto le aperture verbali a Putin che hanno punteggiato la sua campagna elettorale potranno diventare realtà. Nella migliore delle ipotesi ha un vago sentimento di quel che vorrebbe fare. Ma non ha la più pallida idea di come realizzarlo. Tantomeno è in grado di sapere se gli altri poteri e contropoteri americani non glielo impediranno.
SEGUE A PAGINA 12
TRUMP è scaltro e intelligente, ma un businessman newyorchese non si improvvisa leader della massima potenza mondiale. Avrà bisogno di tempo, risorsa scarsissima per qualsiasi inquilino della Casa Bianca. Sicché le probabilità che almeno inizialmente il nuovo presidente appaia erratico nell’approccio alla Russia e al mondo sono alte.
Per almeno tre motivi: la sua carente informazione sui dossier, a fronte di omologhi, Putin su tutti, padroni dei dettagli e carichi di esperienza; il suo istinto per il rapporto personale, tipico dell’uomo d’affari ma improbabile per uno statista in quanto rappresentante di una nazione, non della propria azienda; soprattutto, il ruolo decisivo degli apparati amministrativi, diplomatici, militari e di intelligence, nel declinare in atti e fatti le visioni del presidente — o nell’insabbiarli.
Il planisfero mentale di Trump è funzione della sua introversione geopolitica: l’America prima di tutto. Il nuovo presidente non vuole guidare il mondo, solo evitare di esserne guidato. La globalizzazione è minaccia, quasi invasione aliena — altro che americanizzazione del mondo, secondo il mantra di casa Clinton. In termini pratici, si tratta quindi di drenare i flussi migratori dal Messico, rivedere se possibile il Nafta, affossare i grandi trattati geopolitico-commerciali voluti da Obama — il transatlantico (Ttip) pare già abortito, il transpacifico (Tpp) soffre di un parto forse prematuro — e spiegare agli alleati europei (Nato) e asiatici (Giappone e Corea del Sud su tutti) che non possono contare a occhi chiusi sull’ombrello a stelle e strisce. In generale, la tendenza al ripiegamento dagli affari del pianeta apre varchi formidabili alle ambizioni delle potenze rivali mentre allarma gli alleati.
Il dossier più caldo è quello russo. Fra Stati Uniti e Federazione Russa è in corso una guerra ibrida, con epicentri in Ucraina e in Siria. Specialmente nel primo caso, il rischio che dallo scontro limitato e indiretto si slitti per accidente al conflitto diretto, coinvolgendo la Nato, è tutt’altro che trascurabile. Trump parrebbe deciso a disinnescare questa mina, tanto da rimbrottare il suo vice Mike Spence per aver denunciato le “provocazioni” russe.
Le reazioni di Mosca alla vittoria del tycoon newyorchese sono piuttosto sobrie, anche perché molti al Cremlino preferivano avere a che fare con un nemico dichiarato, ma noto, come Hillary Clinton, piuttosto che con l’incognita Trump. Putin ha comunque messo in chiaro di essere interessato a unrapporto “paritario” con la Casa Bianca. È il suo sogno da sempre, finora inappagato: essere trattato da coprotagonista globale, non puro attore regionale, come pretendeva Obama. In ogni caso, per far la pace con Mosca Trump dovrà passare sul cadavere del Pentagono, per nulla interessato a perdere risorse e visibilità acquisite nelle crisi di Mesopotamia e Ucraina.
Fatto è che, grazie agli errori e alle incertezze di Obama, Putin occupa il centro del ring. Anche per aver agganciato strumentalmente Pechino e aver mantenuto, sotto il pelo dell’acqua, solidi legami con Berlino: carte da giocare al tavolo di un eventuale compromesso globale con Washington. Se un’ipotesi del genere si profilasse all’alba della presidenza Trump, possiamo star certi che al Congresso come nelle comunità militari e dell’intelligence — ma persino ai gradi medio-alti della Casa Bianca — il fronte dei sabotatori sarebbe piuttosto vasto. E Trump scoprirebbe che per cambiare di qualche grado la rotta di una corazzata non basta l’energia di un volenteroso ammiraglio.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
Vuole drenare i flussi migratori dei “latinos” e affossare i trattati commerciali di Obama Non sa neppure se le sue aperture verbali verso Mosca potranno tradursi in realtà

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