È finita la dittatura rossa
Esistono - ovvio - anche intellettuali di destra, ma di norma se ne stanno isolati, passeri solitari raminghi. La loro specialità, quando si incrociano, è di beccarsi con crudeltà tra loro. Di solito però non vedono l’ora di essere ingaggiati da giornali o da partiti di sinistra per potersi esibire come uomini di destra perbene, rispettabili, e immediatamente si trasformano in prezzemolo da televisione. Ma l’Intellettuale, l’”Intellò”, è per storia e genetica un animale collettivo e come tale di sinistra.
La sua apparizione più recente, incarnata dal professor Gustavo Zagrebelski, si è verificata qualche giorno fa in tivù da Enrico Mentana. È accaduto l’impensabile. Di solito l’Intellettuale appare con l’aureola da Fabio Fazio. Lì subisce la Trasfigurazione come Gesù sul monte Tabor e poi ascende in cielo tra gli inchini. Stavolta è stato ridicolizzato non da Pico della Mirandola, ma da Renzi. E non se n’è accorto solo lo spettatore medio, che di solito beve come oro colato l’ambrosia dei figli di Bobbio, ma da due signori che non sono mai d’accordo su nulla, Giuliano Ferrara (Sì al referendum) ed Eugenio Scalfari (No al referendum), i quali hanno sentenziato: non se ne può più, un intel- lettuale così non c’entra nulla con la realtà dei viventi. L’intellettuale ha perso e ha rotto le scatole. Al diavolo l’esibizione azzimata dei valori imperituri con la saccenteria di un Mosè.
Era ora che anche in Italia il fenomeno del denudamento del Re si manifestasse, sia pure ancora allo stato embrionale. Nel resto del mondo sono più avanti. L’Intellettuale unico è in frantumi. Il populismo che respinge come il Diavolo i filosofi in pulloverino, ora sta catturando un sacco di pensatori, magari minori, ma la cattedrale del Pensiero Unico si sta sbrecciando. Sono così stufi delle astrazioni sapienti di cui fin qui hanno campato, che si inginocchiano in adorazione della loro negazione. Lo vediamo in America, per le elezioni presidenziali, lo abbiamo verificato sulla Brexit. Hanno così rotto le scatole i maestri del pensiero con tutti i valori de- mocratici a posto, e con la tolle- ranza a citazione di Voltaire in- corporata, che i chierici del pensiero cambiano religione, e dicono basta a questa prigione.
Il caso più recente è il sostegno dato a Donald Trump da uno sciame di intellettuali che convergono su di lui brandendo tesi che sono una l’opposto dell’altra, essendo matematicamente sicuri tutti quanti che il chiomuto miliardario realizzerà finalmente le loro divergenti teorie. Trump bada bene a non contraddirli. Hanno firmato un manifesto in cui, per non litigare tra loro, i trumpiani si limitano a indicare il loro presi- dente preferito in Donald. Non una parola di più, se no si strozzerebbero vicendevolmente. Il risultato è che i più diversi tipi di intellettuali - cattolici antiabortisti e sostenitori del gender, liberisti esagerati e difensori dei privilegi della aristocrazia operaia - picconano l’antipopulismo, e la figura canonica del regista o del moralista impegnato, l’”Intellò”, appunto.
Questa prima grossa pattuglia occidentale di professioni- sti del pensiero o della penna che si consegna al nemico populista vedremo se inaugurerà anche una emulazione italica. I primi professori che osarono trent’anni fa difendere Bettino Craxi, il quale parlava di «intel- lettuali dei miei stivali», si vide- ro messi fuori gioco dall’alleanza tra gli Zagrebelski, i Bobbio, i Galante Garrone con i Borrel- li e i Di Pietro. Tra i coraggiosi c’erano Lucio Colletti e Renzo De Felice. Ma anche Luciano Pellicani, direttore di Mondo Operaio, che ha di recente ricordato:
«Tzvetan Todorov, fuggito dalla Bulgaria comunista in Francia negli anni ’60, disse che se nel suo nuovo Paese d’adozione avessero votato solo gli intellettuali, pure la Francia si sarebbe trasformata in dittatura totalitaria».
Ma sarebbe finita allo stesso modo anche in Italia, se avessero votato solo i professori di filosofia e scienze politiche, o gli scrittori o i registi. Basta scorrere l’elenco dei 700 e passa firmatari che condannarono moralmen- te a morte il commissario Luigi Calabresi definendolo su L’Espresso «commissario torturatore». C’erano tutti i papi e cardinali della casta colta: da Bobbio a Eco, da Tinto Brass a Federico Fellini, da Gae Aulenti aEugenio Scalfari.
Ora Scalfari si accorge che il metodo di costoro, nulla c’entra con la vita vera. Persino il più grande intellettuale italiano, lo scienziato sommo della politica e di arte della conqui- sta, Niccolò Machiavelli quando provò a passare dall’astra- zione e dallo studio alla pratica della vita, si zappò sui piedi. Fi- guriamoci quelli che si sporgo- no dalle televisioni di casa per insegnare al popolo che non dev’essere populista, ma piut- tosto fidarsi dei loro consigli.
A spiegarlo è stato un intellettuale serio, e per questo vilipeso in Italia, Leonardo Sciascia:
«...studio e teoria non bastano: come ci dà esempio Matteo Bandello, quando rac- conta di una manovra che Ma- chiavelli voleva far fare a una truppa in piazza d’arme; e nac- que tale confusione che biso- gnò Giovanni dalle Bande Ne- re desse un paio di secchi ordi- ni perché si effettuasse la ma- novra voluta da Machiavelli e si potesse andare al rancio».
Gli intellettuali bisogna rispettarli. Essi pensano, scrivono, fanno lezioni in università. Costruiscono teorie meravigliose. Ma, quando escono dal loro seminato, rompono. Credono di sapere tutto, ma appena passano dal ramo dell’astra- zione alla pratica della vita ce la rovinano.
Rimanete tra i libri, non im- pegnatevi troppo, non rompe- te le scatole. Uno di voi, Pier Paolo Pasolini, scrisse: «Niente è più ridicolo dell’impegno di uno stronzo». Sottoscriviamo.