Prima
IL DOSSIER
MARCO RUFFOLO
RIVOLUZIONE lavoro. Quello che abbiamo conosciuto finora come Jobs Act è in realtà solo un antipasto. Il piatto forte della riforma è una missione quasi impossibile: fare incontrare l’offerta e la domanda di lavoro nel nostro Paese. Entro la fine dell’anno sarà pronto l’assegno di ricollocazione (tra 2 mila e 5 mila euro) per chi è disoccupato da oltre quattro mesi. E già a settembre si potrà dichiarare sul web la disponibilità ad intraprendere il viaggio all’interno del pianeta- lavoro.
SEGUE A PAGINA 13
MA PRIMA di cominciare, serve una premessa: se la riforma costituzionale (che restituisce allo Stato la potestà legislativa sulle politiche del lavoro) venisse bocciata in autunno con il referendum, l’intervento per l’occupazione sarebbe limitato dal fatto che esistono venti legislazioni regionali differenti, con esiti mediamente disastrosi. Solo il 3,4% di chi è attualmente occupato ha trovato lavoro grazie ai centri per l’impiego, cioè grazie ai servizi pubblici. Ecco perché il governo ha deciso di creare un’agenzia centrale (l’Anpal) con il compito di coordinare tutta la rete dei centri per l’impiego pubblici e delle agenzie private.
Mettiamoci dunque nei panni di un disoccupato. «Chi è senza un impiego – annuncia il presidente dell’Anpal, Maurizio Del Conte - potrà probabilmente già da settembre iscriversi a un portale pubblico dichiarando la propria disponibilità alla ricerca attiva di un lavoro». L’iscrizione scatterà automatica per chi riceve già un’indennità. Poi il disoccupato dovrà rivolgersi al proprio centro per l’impiego dove firmerà un “patto di servizio personalizzato” con l’impegno a seguire corsi di formazione e ad accettare offerte di lavoro “congrue”, ossia compatibili con le proprie competenze, non troppo lontane da casa e con una paga superiore di almeno il 20% all’indennità avuta nell’ultimo mese. Solo accettando queste condizioni, chi riceve un aiuto finanziario potrà continuare ad averlo.
Si dirà che non c’è nulla di nuovo in questo “do ut des”: anche oggi funziona così. Ma solo sulla carta. In realtà chi distribuisce le indennità ai disoccupati (l’Inps) e chi dovrebbe ricollocarli (i centri per l’impiego) non si parlano. Come farli incrociare? La soluzione del governo è una enorme banca dati, un sistema informativo unico dove dovrebbero confluire in tempo reale tutti i dati in entrata e in uscita.
Riassumendo, in questa fase il nostro disoccupato riceve una prima assistenza pubblica e si impegna ad accettare quanto gli viene proposto, altrimenti niente più aiuti finanziari. Ma ipotizziamo che tutto questo non basti a trovargli un impiego. Ecco allora che scatta la seconda fase, quella più innovativa. Chi continua a ricevere da oltre 4 mesi la nuova indennità di disoccupazione (Naspi), potrà chiedere l’“assegno di ricollocazione” per essere assistito in modo molto più intensivo nella ricerca di lavoro. Sgombriamo subito il campo da un possibile equivoco: non si tratta di un nuovo aiuto al reddito del disoccupato, quello continua ad essere lo stesso di prima. Si tratta di un “buono” spendibile solo nella ricerca attiva di un impiego (tra corsi di formazione e di riqualificazione). Sarà il disoccupato stesso a decidere dove spenderlo: in uno dei centri pubblici o presso uno dei soggetti privati che saranno accreditati e inseriti in un albo. Un “tutor” affiancherà e accompagnerà il disoccupato in tutte le sue attività. L’assegno sarà poi riscosso dal centro prescelto, ma per il 75-80% solo a risultato ottenuto, cioè quando il disoccupato avrà trovato lavoro. «E questa – spiega Del Conte – è una importante garanzia per il successo di tutta l’operazione». Ovviamente anche in questa fase il rifiuto di un’offerta congrua fa decadere ogni aiuto finanziario. L’operazione durerà sei mesi, prorogabili di altri sei se l’assegno non è stato del tutto consumato. «Per l’importo - continua Del Conte - stiamo pensando a una forchetta tra 2 mila e 5 mila euro e per il primo anno prevediamo 100 mila richieste con una spesa (a valere soprattutto sui fondi europei) di circa 350 milioni». Più difficile è la ricollocazione del disoccupato, più alto sarà l’assegno. A definirlo non saranno le Regioni ma l’Agenzia nazionale in modo uniforme in tutta Italia.
Fin qui l’ambizioso progetto del governo. Se però guardiamo ai quasi tre milioni di disoccupati italiani e pensiamo che una grande fetta di essi dovrebbeessere presa in carico dagli appena diecimila dipendenti dei centri per l’impiego, qualche dubbio nasce. Anche perché oltre confine si è deciso in tutti questi anni di investire molto di più nella politica attiva del lavoro: in Germania per esempio i dipendenti pubblici che si occupano di ricollocare i disoccupati sono oltre centomila, dieci volte di più. «Non potremo mai permetterci sforzi così impegnativi – spiega il presidente dell’Agenzia nazionale – noi puntiamo a un modello in cui i centri per l’impiego siano affiancati da migliaia di sportelli di agenzie private. In questo modo basterebbero mille dipendenti in più». Molti di questi, però, dovranno essere riqualificati. Finora infatti si sono limitati a certificare lo stato di disoccupazione, con lo scopo non tanto di trovare un lavoro ai richiedenti quanto di metterli in lista per una casa popolare o di concedere loro l’esenzione dai ticket.
Nel frattempo occorre subito trasferire parte del personale dal ministero all’Agenzia nazionale. E qui le prime mosse non sono proprio incoraggianti. La scelta di affidarsi all’autocandidatura ha dato risultati a dir poco modesti: appena trenta dipendenti disposti a trasferirsi. L’operazione è anche ostacolata da ragioni contabili: per il trasferimento è necessario creare un apposito capitolo di bilancio e quindi aspettare il nuovo anno. Soluzione: parte del personale ministeriale verrà “comandato” ma ci vogliono due decreti ministeriali. Non meno preoccupante è la struttura che si è data la nuova Agenzia, come rileva polemicamente Pietro Ichino. «Che senso ha creare un nuovo organismo staccato dal ministero se poi lo si articola in sette divisioni, affidate ad altrettanti dirigenti, replicando così la burocrazia ministeriale?»Insomma, resistenze al cambiamento ci sono già e c’è da scommettere che si moltiplicheranno. «Indubbiamente c’è chi resiste – spiega Del Conte - Finora i disoccupati sono stati considerati merce di scambio: aiuti finanziari contro consenso. Così è molto facile fare politica ma non si risolve nulla. Molto più difficile è conquistare il consenso attraverso la lunga e impervia ricerca attiva del lavoro. Ed è proprio questo il senso del Jobs Act».
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Finora solo il 3,4% di chi ha un posto è passato dai servizi pubblici gestiti dalle Regioni Il disoccupato riceverà un voucher fino a 5mila euro da sfruttare per la propria riqualificazione Il “collocamento” ha fallito per il peso di burocrazia e regole non uniformi