la guerra al terrorismo
Nel caos della guerra con gli inglesi “Guidano loro l’assalto finale all’Is”
VINCENZO NIGRO
DAL NOSTRO INVIATO
SIRTE
DALLA nebbia del mattino, sulla strada che arriva da Misurata, emergono due fuoristrada fantasma color sabbia. «Ecco, sono gli inglesi che ritornano, loro non dormono a Sirte, la notte rientrano a Misurata e poi il giorno dopo si ripresentano qui al fronte», dice un autista libico. Eravamo in marcia verso Wadi Jaref, dove dicono fosse nato Gheddafi e dove ci sono ancora membri della sua tribù.
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IL RACCONTO
DAL NOSTRO INVIATO
SIRTE
INCROCIAMO le auto due volte, mentre si spostano verso una operation room. Sono le famose “truppe speciali”, un aiuto forte, importante, per i soldati del governo di Tripoli. Anche se è chiaro che proprio qui a Sirte, nella città che fu la culla e poi la tomba di Muhammar Gheddafi, il governo Serraj non si gioca soltanto l’eventuale vittoria sull’Is ma costruisce con le armi il futuro della propria legittimità. Conquista con i soldati il diritto di governare a Tripoli: devono essere i suoi soldati, non truppe straniere a combattere, morire e vincere.
Nel caos, nel fumo nero di questa terza guerra di Libia, nessuno è in grado di confermare in carta bollata notizie come quelle sulla presenza di truppe speciali americane, inglesi o italiane. Gli americani ci sono di sicuro, lo suggerisce un ragionamento semplice: gli Stati Uniti hanno necessariamente bisogno di gente a terra che sappia dove e come guidare gli attacchi aerei, per non rischiare di colpire i soldati di Tripoli e Misurata. Gli inglesi invece hanno un ruolo davvero molto più pesante, decisivo. Di fatto guidano la guerra insieme ai comandanti libici. E qui, oltre al ragionamento e all’incontro casuale, abbiamo la nostra testimonianza diretta: l’altra notte, mentre ci preparavamo a dormire in un distributore di benzina trasformato in centro comando, all’improvviso i capi hanno iniziato a urlare ordini. «Il responsabile dell’intelligence inglese ci ha detto che lo Stato islamico sa che questo è un centro-comando, potrebbero provare a fare un assalto stanotte, dobbiamo spegnere tutto e prepararci all’assalto. Tu, giornalista italiano e il tuo accompagnatore andate via».
L’assalto nella notte poi non c’è stato, ma le operazioni continuano furiose anche oggi. E i libici dicono di seguire con grande scrupolo i suggerimenti delle forze speciali britanniche, che avrebbero un ruolo concreto nei combattimenti più delicati. Ma arriviamo agli italiani. Soldati delle truppe speciali italiane sono sicuramente a Tripoli e a Misurata, e sono passati anche da Sirte. «A voi italiani neppure abbiamo chiesto di combattere, tanto sapevamo che avreste impiegato settimane e mesi per non risponderci nulla», ci ha detto quasi sprezzante la settimana scorsa un politico libico di alto livello. Sono state chieste tre cose: schierare una nave ospedale, ma anche su questo l’Italia da due mesi non ha dato risposta. Schierare allora un ospedale da campo oppure traferire dei chirurghi in sicurezza all’ospedale di Misurata. E ancora niente. Oppure addestrare gli sminatori. La collaborazione sullo sminamento ci viene confermata in persona dal capo dell’unità di sminatori di Tripoli schierata a Sirte.
Lungo la grande strada che porta al fronte sono schierati i servizi logistici dell’offensiva. Le salmerie. Le ambulanze con gli infermieri a bordo, una cisterna che rifornisce di benzina le auto direttamente dal rimorchio. Un punto mobile di gommista, con generatore elettrico e compressore per riparare le ruote di “tecniche” e blindati.
E poi gli sminatori, di cui incontriamo il comandante. Chiedono di non essere fotografati e di non scrivere il nome, perché sanno che l’Is ha cellule dormienti pronte a colpire in ogni città della Libia. «Con bombe e mine qui a Sirte è stato un inferno: ecco perché abbiamo chiesto ai nostri capi l’aiuto degli italiani. Sappiamo che hanno portato del materiale, abbiamo bisogno di altro addestramento, e di farlo anche da voi».
Si avvicina uno sminatore, ci mostra sullo smartphone tutti i nuovi tipi di bombe- trappola che i terroristi hanno inventato. Proiettili di mortaio innescati con un detonatore che scatta tirando un filo di lenza: i soldati non lo vedono, inciampano e la bomba fa morti e amputati nel giro di 100 metri. Televisori-esplosivi, estintori-trappola, porte-bomba. Le apri e salti in aria. L’ordigno più pericoloso è una specie di cassetta di metallo piena di esplosivo, chiodi, frammenti di ferro, collegata a un detonatore con dei fili elettrici ma anche con una normale siringa medica, svuotata e riempita con liquido e una sfera di metallo. Non abbiamo capito come funziona, ma se si tagliano i fili la siringa si attiva comunque e la bomba esplode. I soldati o gli artificieri saltano per aria.
Adesso cosa deciderà di fare l’Italia con le sue truppe speciali in Libia ormai è quasi affare di politica domestica. E diventa sempre meno importante per i libici, visto che il Daesh nei fatti lo stanno sconfiggendo da soli, con la loro fanteria e l’appoggio degli americani dall’aria e degli inglesi nell’intelligence. Chi ha aiutato, verrà aiutato, dicono in Libia e non solo.
Ieri per tutta la giornata gli assalti si sono ripetuti, le truppe vanno avanti casella dopo casella, come in un gigantesco domino mortale. La notte in cui ci hanno trasferito l’esercito ha preparato l’attacco all’università, che è stata ripulita ieri. Poi sono passati all’ospedale di Ibn Sina e al quartiere di Al Giza. Rimane il centro congressi Ouagadougou, per mesi il centro-comando dell’Is, il massiccio palazzone in calcestruzzo costruito da una ditta italiana per il congresso della Unità Africana che Gheddafi volle celebrare nel 1999, qui nella sua città natale. E ieri. prima di sera, è arrivato l’annuncio del comando militare di Misurata: «Abbiamo conquistato il quartier generale dell’Is a Sirte. La vittoria è vicina».
E potremmo esserci vicini. Ieri le tv libiche hanno rilanciato quella che sembra una ammissione di sconfitta dei jihadisti: un terrorista dice di parlare a nome del “Vilayat Tarabuls”, la provincia di Tripoli, perché Sirte farebbe parte di questa provincia del califfato, «Quello che è successo a Sirte è un arretramento, non una sconfitta: torneremo dopo che le forze del male in tutto il mondo si sono coalizzate per combatterci ». Il Daesh a Sirte ancora non è stato ancora sconfitto, e già prepara vendetta.
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QUARTIER GENERALE
Poi a sera l’annuncio di Misurata: “Abbiamo conquistato il quartier generale dell’Is”
Il premier Fayez Serraj