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LETTERA DALL’EUROPA/EL PAÍS
LLUÍS BASSETS
L’ATTENTATO di Nizza e il colpo di stato contro Erdogan hanno segnato inesorabilmente, con la loro estrema violenza, le due date consecutive del 14 e 15 luglio 2016, facendo passare inosservata una notizia che in altre circostanze avrebbe suscitato enorme emozione. E rischiato addirittura di provocare una crisi tra Stati Uniti e Arabia Saudita. Il Congresso USA ha desecretato 28 pagine relative all’indagine di 13 anni fa sui rapporti tra il governo di Riad e gli autori degli attentati del 2001 a New York e a Washington, ponendo fine così a un’annosa polemica e a infinite speculazioni su un coinvolgimento della monarchia saudita.
Benché 14 dei 19 terroristi dell’11 settembre fossero di nazionalità saudita, nel grosso dei documenti relativi all’indagine, pubblicati nel 2003, non figuravano prove a carico del governo di Riad. Ma di fatto non ve ne sono neppure nelle 28 pagine ora declassificate, il che consente ai governi Usa e saudita di ripartire da zero, cancellando i sospetti seminati finora.
Ma quelle 28 pagine, benché non rilevanti sul piano giudiziario, sono solo apparentemente insignificanti. La loro pubblicazione, eclissata dalla gravità degli eventi in Francia e in Turchia, era accompagnata oltretutto da una serie di spiegazioni attenuanti da parte dei due governi, tese a evitare che una decisione programmata da tempo e accuratamente valutata e preparata nelle due capitali finisse per dar motivo a una crisi. Le ragioni non mancavano.
Innanzitutto l’assenza di prove di valore giudiziario non significa che quelle 28 pagine non contengano indizi di un coinvolgimento saudita nell’organizzazione di Al Qaida, e persino di aiuti forniti ad alcuni dei terroristi dell’11 settembre.
Riad si preoccupa soprattutto delle responsabilità legali, a fronte delle richieste di risarcimenti rivolte alle autorità saudite dai familiari delle vittime degli attentati, appoggiate sul piano legislativo dal Senato Usa. In ogni caso, le informazioni contenute in quelle 28 pagine corroborano i sospetti di un coinvolgimento dell’Arabia Saudita, o quanto meno dei suoi servizi segreti e di alcune personalità della sua vasta famiglia principesca, nel favoreggiamento di Al Qaida prima dell’11 settembre e nell’assistenza, soprattutto finanziaria, prestata a individui coinvolti negli attentati.
A parere di Simon Hendersen, del Washington Institute for Near East Policy, che ha interpretato le pagine desecretate in un articolo pubblicato dalla rivistaForeign Policy, alcuni dei terroristi potrebbero aver avuto contatti con due agenti segreti sauditi; uno dei finanziatori dei terroristi avrebbe ricevuto denaro da un membro della famiglia reale saudita; un leader di Al Qaida sarebbe stato in possesso di un numero riservato della Società incaricata di garantire la sicurezza della residenza dell’ambasciatore saudita in Colorado. Risulterebbe inoltre un passaggio di denaro tra la moglie di uno dei finanziatori dell’11 settembre e quella dell’ambasciatore saudita. Inoltre vi sarebbero stati contatti tra la fondazione saudita Al Haramain e i gruppi terroristici. Vi sono sospetti anche sull’allora ministro dell’interno saudita. Al governo di George W. Bush sono bastate prove molto più vaghe — o piuttosto, del tutto inesistenti — per giustificare la guerra in Iraq. Basti questo per dare un’idea dell’effetto che avrebbe avuto la divulgazione di tutte queste circostanze, ben più significative delle presunte prove del possesso di armi di distruzione di massa da parte di Saddam Hussein, inventate ma utili ai neocon per rovesciarlo.
Non saranno quelle pagine desecretate, peraltro già note ai due governi, a peggiorare i rapporti tra gli Usa e l’Arabia Saudita. Di fatto però i sauditi sono irritati per l’avvicinamento di Obama all’Iran, mentre l’attenzione di Washington si focalizza sul ruolo di Riad nella diffusione delle dottrine religiose radicali che fomentano il jihadismo. Il clima non è buono. Non c’è fiducia reciproca tra questi due Paesi che dopo essere stati amici e alleati per 70 anni, si trovano oggi su traiettorie divergenti, anche se tentano di gestire con prudenza i loro contrasti.
Sembra sia questo il destino dei migliori alleati che gli Stati Uniti hanno avuto nella regione dalla fine della seconda guerra mondiale. L’allontanamento dell’Arabia Saudita dagli Usa era iniziato nel 2001, ma solo oggi appare così evidente. Quello della Turchia è in atto in questi giorni, a tappe forzate.
Oltre che dagli Usa, la Turchia si allontana da un’Europa che sotto i colpi del terrorismo si confronta con le sue paure e le sue debolezze. Queste tre nuove realtà geopolitiche si sono fuse drammaticamente, come in un’unica fiammata, in quelle due tragiche sere di luglio, ponendo in piena luce le immagini inquietanti del nuovo paesaggio che si apre davanti ai nostri occhi.
L’autore è direttore dell’edizione catalana del quotidiano spagnolo El País Traduzione di Elisabetta Horvat
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“ Le pagine pubblicate dal Congresso Usa rafforzano i sospetti sul ruolo saudita nell’attacco E tra i due Paesi cresce la sfiducia