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Jihadisti d’Italia

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l fondamentalismo islamico
Gli estremisti.
Oltre 500 indagati e 106 espulsi. Profili diversi ma un unico obiettivo: colpire anche nel nostro Paese “Nella guerra santa cercano di affermare la loro identità”

L’asso del cricket, il pugile, il rapinatore “Ecco perché hanno scelto il Califfo”
ALBERTO CUSTODERO
Non vanno sottovalutate, osserva un analista dell’intelligence, le analogie che si trovano nell’excursus storico del terrorismo islamista, un fenomeno che si è manifestato in Europa verso la fine degli anni Novanta drammaticamente — e non a caso — in Francia con gli attentati alla metropolitana. Allora si parlava del Gia algerino, ma già in quelle prime fasi il filo delle indagini portava in Belgio e Inghilterra. E dopo l’11 Settembre — proprio come oggi — vennero fatte numerose espulsioni nei confronti di elementi che si riconoscevano nel fanatismo di matrice qaedista e che avevano frequentato campi di addestramento in Afghanistan.
«La polveriera del terrore — spiega ancora lo 007 — si alimenta da anni, ma mille condizioni non hanno favorito l’individuazione e il disinnesco di ciò cui si sta assistendo. Ciò che sta avvenendo in questi giorni (con le azioni di Lupi solitari come quello di Nizza), è estremamente diverso dal passato, pur avendo elementi di continuità. Di fatto si assiste a una deriva nichilista in cui la radicalizzazione è sempre più superficiale».

©RIPRODUZIONE RISERVATA




Controlli a Roma davanti al Colosseo
ROMA.
C’è Aftab Farooq, magazziniere pachistano ex campione della giovanile italiana di cricket. C’è Abderrahim Moutaharrik, pugile a livello internazionale di kickboxing di origini marocchine. Poi Abdula Kurtishi, latitante macedone ricercato per rapina. E Alì Abdula Salih, ex combattente peshmerga in Kurdistan.
Dopo centosei espulsioni di sedicenti simpatizzanti Is, e dopo decine di inchieste giudiziarie (oltre cinquecento gli indagati) contro cellule islamiste o “lupi solitari” auto radicalizzati, qual è il ritratto del terrorista fai da te che vive in Italia? Qual è il suo profilo psicologico? Esistono caratteristiche sociali che accomunano gli italiani che inneggiano alla jihad?
«Ieri, i terroristi di al Qaeda — spiega Stefano Dambruoso, un ex pm che a lungo gli ha dato la caccia — si affiliavano in quanto attratti da un senso di appartenenza alla “rete” di bin Laden. Oggi, i terroristi dell’Is aderiscono al Califfato in cerca dell’affermazione della propria identità. Persone che inseguono nella retorica del Daesh i valori che non trovano più in Italia. Paradossale in questo senso il caso del ragazzo genovese che si era recato in Siria per combattere i valori della nostra società, ma poi s’era reso conto che tutto il mondo è paese».
Il riferimento è a Giuliano Ibrahim Delnevo, il primo italiano morto in Siria nel giugno del 2013. Nel suo diario, aveva dato sfogo a tutta la sua delusione di mujahiddin pentito. «Mamma — aveva scritto dal campo di battaglia dell’Is — mi fanno dormire al freddo mentre i capi se ne stanno comodi e al caldo in albergo. Anche qui, come in Occidente, ci sono i privilegiati. E la truppa tira a campare». Ma cosa lega un campione di cricket, un pugile, un “normale” ragazzo genovese, a un padre (il marocchino Khachia Brahim), che converte il figlio alla jihad e lo spedisce in Siria a morire da “martire”. O a un malato di mente (il marocchino Kakman Nabib), finito in reparto psichiatrico dopo aver scaraventato a terra un crocifisso ligneo del ‘700 nella chiesa di San Geremia, a Venezia. Qual è il denominatore comune tra loro e l’albanese Blender Breshra, imam a Genova. O Ahmad Alali Alussein, alias Faowaz Arhad, siriano, un ragazzo che si faceva i selfie con indosso la divisa della polizia stradale dell’Is. O Hamil Medhi, marocchino residente a Cosenza che frequentava spiagge isolate per evitare di incontrare donne in costume. O Bushra Haik, trentenne nata a Bologna ma di origini canadesi che teneva corsi di Corano online? «Ognuno è diverso dall’altro — spiega un investigatore dell’Antiterrorismo — non siamo mai riusciti a trovare in modo scientifico indicatori psicologici o sociali.

Ci sono invece punti di incontro di condotta».
Lassaad Briki, addetto alle pulizie, era diverso da Muhammad Waqas, autista in una ditta di distribuzione alimentare. A unirli, la fede nella “guerra santa” che coltivavano nel Bresciano.
Se è impossibile risalire al “fenotipo” dell’aspirante jihadista, è possibile, invece, individuare i comportamenti che li accomunano. «Cambi improvvisi di stili di vita — spiegano ancora all’Antiterrorismo — come farsi crescere la barba, imporre il burqa alla moglie, picchiare le donne, sono i più importanti campanelli d’allarme da cui far partire le indagini».

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