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Arrestato Consoli “Soldi ai clienti perché comprassero i titoli della Veneto Banca”

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Economia
Il caso.
Il Gip di Roma manda ai domiciliari l’ex amministratore delegato dell’istituto. Sequestrato un palazzo che vale 1,8 milioni. Altri quattordici indagati
GIUSEPPE SCARPA
ROMA.
Complesse triangolazioni per eludere i controlli e condurre speculazioni milionarie. Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca, passa così dalle cronache finanziarie che ne annotavano i successi a suon di acquisizioni a quelle giudiziarie. Va ai domiciliari con un provvedimento del gip di Roma su richiesta della Procura, che gli contesta i reati di aggiotaggio ed ostacolo all’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. Il periodo sotto osservazione è quello che va dal 2012 al 2015. Ad accendere i riflettori sulle attività dell’ex ad è stata Bankitalia nel 2013. Due anni di accertamenti, poi l’input alla Guardia di Finanza che l’anno scorso ha acquisito quelle che per i pm - l’aggiunto Rodolfo Sabelli, i sostituti Stefano Pesci e Sabina Calabretta - sono gli elementi decisivi che provano gli illeciti.
Nell’inchiesta della procura capitolina, che ha congelato 45 milioni di euro della banca e sequestrato il palazzo di Vicenza di proprietà di Consoli per un valore di un milione e ottocento mila euro, sono indagate altre 14 persone. Tra i nomi di peso, spicca anche quello dell’ex presidente dell’istituto Flavio Trinca.
Sotto accusa è la politica di finanziamenti per l’acquisto di azioni proprie, attraverso le cosiddette “operazioni baciate” scandagliate dagli investigatori della Finanza del Nucleo valutario, guidati dal generale Giuseppe Bottillo, e da quelli del Tributario, dal colonnello Gianluca Campana.
Secondo i magistrati l’istituto di credito avrebbe finanziato i clienti più «importanti» affinché comprassero azioni della stessa banca. In alcuni casi sarebbero stati «arruolati » investitori compiacenti, disposti a intestarsi per qualche tempo quote rilevanti di obbligazioni subordinate, in modo da sollevare l’istituto di Montebelluna dall’onere di detrarne il controvalore dal patrimonio, come invece prescritto da Palazzo Koch. In entrambi i casi si trattava di «parcheggi» temporanei di titoli, che poi tornavano nel patrimonio di Veneto Banca.
Regista delle varie operazioni sarebbe stato proprio Consoli, vero dominus della banca «in una situazione – scrive il gip - di potere reale e personale a cui non fa da contrappeso, anche in forza del solido rapporto con il presidente Flavio Trinca, il pletorico Consiglio, connotato anche dalla presenza di situazioni personali di conflitto d’interessi». Il peso di Consoli sarebbe rimasto intatto anche dopo la sua uscita dall’istituto di credito, il 30 luglio del 2015. Questo emerge, chiaramente, in un passaggio dell’ordinanza: «Consoli – scrivono i magistrati - prospetta l’opportunità di non procedere al rinnovo del proprio mandato nella Banca proponendo la stipula di un contratto di consulenza attraverso il quale poter gestire anche dall’esterno il grande capitale». Del quale sosteneva, in una intercettazione richiamata negli atti, di essere l’unico conoscitore.
Consoli, insomma, avrebbe continuato ad esercitare la propria influenza anche in un ruolo apparentemente defilato. Ma, per i pm, sua sarebbe la regia anche del meccanismo messo in piedi per ostacolare l’esercizio delle funzioni delle autorità pubbliche di vigilanza. Di fatto, nelle segnalazioni periodiche alla Banca d’Italia, Veneto Banca avrebbe continuato ad indicare un valore del patrimonio di vigilanza sovrastimato mascherandone la reale consistenza: «Ostacolavano – sostengono i pm – le funzioni di vigilanza di Banca D’Italia e Consob e in particolare comunicavano nelle relazioni periodiche un ammontare del patrimonio di vigilanza non corrispondente al vero». In sostanza la creazione di questa situazione di patrimonio “virtuale” avrebbe consentito di fissare il sovrapprezzo delle azioni su valori molto più elevati rispetto allo stato dell’azienda, sostengono gli investigatori. E così all’esterno veniva data la parvenza di una solidità patrimoniale ben maggiore rispetto a quella effettiva, in grado di ingannare la platea dei risparmiatori e gli altri azionisti, rafforzando l’immagine della banca e la fiducia nel management.
La “banca di campagna”, che per decenni è stata cassaforte degli imprenditori del Nordest e dei piccoli risparmiatori oculati della Marca trevigiana e del Veneto tutto ha dimostrato però di avere più di qualche falla.
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E’ accusato di aggiotaggio e ostacolo alle attività di vigilanza per aver ingannato Bankitalia e la Consob
Vincenzo Consoli, ex amministratore delegato di Veneto Banca

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