Quantcast
Channel: Articoli interessanti
Viewing all articles
Browse latest Browse all 4966

Il sorriso del Buddha

$
0
0
MOSTRE
Alle Scuderie del Quirinale ventuno opere provenienti da templi e santuari raccontano la storia millenaria la cultura e il sentimento religioso di un popolo

Monaci, spiriti e guerrieri ecco l’anima del Giappone
FRANCO MARCOALDI
Se conoscere è sempre, in qualche modo, ri-conoscere, il visitatore curioso e appassionato ma privo delle coordinate necessarie per affrontare il labirinto politico-culturale ed artistico-religioso giapponese lungo una storia ultramillenaria, rimarrà felicemente smarrito visitando la mostra alle Scuderie del Quirinale sui “Capolavori della scultura buddhista giapponese”. Non a caso il tema dello straniamento è al centro degli scritti sia di Francesco Lizzani che di Claudio Strinati presenti in catalogo. Il primo ci rammenta come nell’arte sino-giapponese la «forma non sublima la materia» ma è piuttosto «energia che si fa forma e materia» – offrendoci peraltro anche possibili e fascinosi parallelismi tra alcune sculture di questa tradizione e il Compianto sul Cristo morto di Niccolò dell’Arca o la tarda Maddalena lignea di Donatello. Il secondo ci invita senza esitazioni a un abbandono immediato e spontaneo alla visione, assicurandoci che indipendentemente dalle poche o tante cognizioni culturali sul buddhismo statuario giapponese, l’incontro con la bellezza assoluta è comunque assicurato.
Entrambi hanno ragione. Certo, non guasterà sapere almeno che il buddhismo arriva in Giappone dalla Cina e dalla Corea attorno al VI secolo, fondendosi progressivamente, grazie alla sua conclamata elasticità, con il non meno elastico shintoismo autoctono. Così come sarà bene sapere che l’intervallo storico ricoperto dalla mostra va dal VII al XIII secolo (quindi dal periodo Asuka al periodo Kamakura) e che gran parte delle sculture sono lignee, quindi scolpite nel materiale che meglio di altri incarna uno dei pilastri della cultura buddhista: la costitutiva impermanenza delle cose.
Dopodiché, però, deve prevalere l’esperienza: pura e semplice. E l’immaginazione può e deve cominciare a galoppare, beandosi delle meraviglie che i nostri occhi incroceranno guardando statue per la prima volta esposte in Italia, e di fatto sconosciute nell’intero Occidente, anche per via del loro “insediamento templare” nella nazione d’origine. I funzionari, i monaci e i guerrieri che si succedono, improntati per lo più al massimo realismo, ci offrono un vero e proprio teatro delle passioni umane, quanto mai ampio e variegato.
I loro volti sono via via irosi, corrucciati, miti, pensosi, severi, beffardi. Finché non entrano in scena divinità e bodhisattva (ovvero quanti cercano l’illuminazione) e allora sì precipitiamo nel pieno dell’enigma buddhista – in virtù di quella impenetrabile serenità compassionevole, di quei sorrisi ieratici e metafisici, che tanto affascinano chi abbia avvicinato anche solo di sfuggita il pensiero del Buddha.
Adesso l’aspetto culturale riprende decisamente il sopravvento. E, volendo, ci si può pure costruire un itinerario personale, magari andando in cerca di alcune parole chiave del vocabolario buddhista, qui restituite con inarrivabile potenza plastica. Si comincia con il concetto di “vuoto” (stellarmente distante dall’occidentale “nulla”) di cui dà conto Vimalakirti Nirdesa, uno dei discepoli di Sakyamuni, celebre per la sua eloquenza, qui raffigurato seduto in una spettacolare statua di legno dipinto dell’VIII secolo. A chi lo incalzava con domande continue sull’idea di vuoto, Vimalakirti ripose con un silenzio assoluto, definitivo – perfettamente restituito dalla ferma postura del corpo e da uno sguardo perentorio.
La seconda statua del nostro personale itinerario, invece, è
Kannon a undici teste, risalente all’VIII secolo, una delle prime immagini del buddhismo esoterico. Ricavata da un unico blocco di legno di sandalo, presenta una figura in piedi, drappeggiata, con dieci piccole teste sopra a quella principale, che ci invita a riflettere sulla peculiare idea buddhista di identità. In quella tradizione è impensabile l’Io per come noi lo conosciamo. Il Buddha attacca frontalmente tale concetto, su cui l’Occidente ha edificato gran parte delle sue fortune e delle sue disgrazie, spogliandolo della sua corazza e svelandone le reali fattezze di aggregato passeggero, di fascio di pensieri privi di natura propria. Tanto da far dire a Lafcadio Hearn: «Io un individuo? Un’anima individuale? No, io sono un popolo». Appunto: non una, ma almeno undici teste per un solo corpo. C’è infine una terza statua che si collega strettamente alla seconda in questo immaginoso tragitto. È dell’XI secolo e raffigura un Bodhisattva su nuvola. La tonsura, l’abito da monaco, il drappeggio quanto mai mosso e la nuvola sottostante, rappresentano altrettanti fattori di dinamismo, ma anche di un’ipotetica svaporazione dell’Io verso un possibile “nirvana” – fine di ogni attaccamento.
Mere fantasie? Ipertrofie interpretative a fronte di statue che vorrebbero farsi ammirare solo per la loro stupefacente bellezza? Probabilmente sì. Ma come si è detto in precedenza questa mostra spinge naturalmente all’esercizio dell’immaginazione, nel tentativo di trattenere in un’unica esperienza l’aspetto estetico, mentale e spirituale offerto dalla visione di sculture che rimarranno a lungo nei nostri occhi e nel nostro cuore.
©RIPRODUZIONE RISERVATA
LE IMMAGINI
Da sinistra: Monaco ( XIII sec.); Shaka Nyorai ( XIII sec.); Nyoirin Kannon
( 1224); Bishamonten ( XIII sec.)
LA DIVINITÀ
A sinistra, Kosei:
Taizan Fukun
( Periodo Kamakura, 1237); in alto la scultura che rappresenta un fiore di loto
LE SCULTURE
Dall’alto in basso,
Bodhisattva su nuvola
( 1053);
Bonten
( Brahma, 1289); Shaka Nyorai
( Sakyamuni, VII secolo)
L’ALLESTIMENTO
A sinistra, Inken: Shaka Nyorai ( Periodo Kamakura, XIII secolo). A destra le sculture allestite
LE TESTE
Dall’alto, Shori no Uonari: Maschera gigaku; Kiei: Maschera gigaku ( entrambe del Periodo Nara, 752)

Viewing all articles
Browse latest Browse all 4966

Trending Articles