Catherine Susan Genovese, nota come Kitty Genovese e il suo assassino winston moseley |
Era ancora fredda la notte, alle 3 e 15 del marzo 1964, quando Kitty Genovese scese dal treno che l'aveva riportata dal suo lavoro di barista. Il parcheggio della stazione a Queens era deserto e l'auto di Kitty era lontana. Dovette, con i sensi affilati dall'ansia, avvertire qualcuno, nell'ombra. Affrettò il passo, gettò le scarpe con tacchi alti che portava per alzare i 150 centimetri della propria minuscola statura, ma la “cosa” che lei aveva avvertito nel buio la raggiunse.
L°aggressore le conficcò un coltello due volte nella schiena. Riuscì ad arrancare fino a un strada grande e illuminata, il Lefferts Boulevard, implorando aiuto, prima che il suo assassino - un uomo che non aveva mai visto prima e confesserà di avere voluto «soltanto ammazzare una donna» - la finisse. Trentotto testimoni, trentotto persone insonni o svegliate dalle urla assistettero all'omicidio di Kitty Genovese senza che nessuno di loro intervenisse, senza che neppure chiamassero la polizia, scrissero le cronache. Soltanto una signora di 70 anni si precipitò giù dalle scale e raccolse sul marciapiede la ragazza in agonia. Kitty Genovese rnorì tra le sua braccia.
Aveva 29 anni. E divenne storia. Il caso della minuta ragazza italo-americana maciullata nella notte di Queens sembrò, in quel 1954 che vide quasi 700 omicidi nella città, la rappresentazione reale di tutto ciò che era sbagliato nella vita della metropoli. Nacque la che era sbagliato nella vita della metropoli. Nacque la “Genovese Syndrome”, studiata da dozzine di psicologi, sociologi, antropologi e tuttologi come esempio della degenerazione sociale post bellica.
Il mondo della politica dovette reagire. Dal sangue di Kitty nacque il centralino nazionale unico per le emergenze, quel numero 911 che mezzo secolo più tardi sarebbe divenuto celebre nel mondo dopo il 9. Il New york Times condusse un' inchiesta per capire come fosse stata possibile tanta indifferenza di tanti testimoni e l'indignazìone popolare, insieme con la vergogna collettiva, raggiunsero l'incandescenza. Lei era una Genovese, nome tristemente celebre tra le “famiglie” di Cosa Nostra e questa coincidenza accese altre fantasie. Qualcuno scopri che, in segreto, Kitty viveva da anni con un amante e la sua omosessualità stimolo insinuazioni.
«Lei e la sua compagna litigavano spesso - disse al Times un testimone - e pensammo che le sue urla fossero l'ennesima baruffa tra loro».
Cinquantadue anni più tardi, in questa estate del 2016, si scopre che niente di quello che i giornali di New York avevano raccontato a un pubblico ingordo di dettagli e di brividi, era vero. Vero, purtroppo, era l'assassinio di una giovane donna. Ma falsa era la “Sindrome di Kitty”. Il fratello minore, Bill Genovese, ha impiegato anni di ricerca e di interviste con i contemporanei, poliziotti, giornalisti, conoscenti, vicini di casa per capire che cosa fosse accaduto quella notte, se dawero trentotto persone avessero assistito indifferenti a quell'orrore. In un documentario, Bill ha smentito la leggenda.
Non c'erano trentotto testimoni, ma solo un paio, compresa la signora che raccolse il corpo ormai esangue di Kitty, ignorando la paura. Il capocronista del New York Times, A.M. Rosenthal, poi divenuto direttore e oggi scomparso, ammise che il giornale aveva «esagerato un po'›› nella ricostruzione «ma a fin di bene, per sensibilizzare New York».
Nessuno dei vicini sapeva che lei fosse lesbica, dunque nessun risvolto “sexy”.
E il commissariato di zona ha dovuto ammettere che ben due chiamate erano arrivate al piantone di guardia alle 3 del mattino, ma che non c'erano agenti ne auto disponibili per intervenire. Non l°indifi`el-enza dei cittadini, semmai Pinefficienza della polizia aveva lasciato Kitty Genovese sola con il suo assassino. Ma la narrazione della “Nletropolis” gelida, dove i passanti scavalcano i caduti sul marciapiedi e i testimoni assistono a delitti senza battere ciglio è troppo radicata, troppo bella, perche memo secolo più tardi la verità possa cancellarla.
Kitty Genovese divenne un mito e i miti, a differenza degli esseri umani, non muoiono mai.
Vittorio Zucconi su "D".
16 LUGLIO 2016