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Donne, diplomati e cittadini ecco chi ha bocciato Hofer

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il voto in austria
Una nazione spaccata, dove da anni i partiti tradizionali sono in crisi. L’emergenza profughi ha fatto volare l’ultradestra che trova consensi anche tra i migranti di seconda generazione
TONIA MASTROBUONI
“Molti elettori conservatori hanno scelto il verde, ma solo per impedire all’ultradestra di prendere il potere” “Noi abbiamo lavorato, ci siamo integrati. Questi siriani arrivano qui e chiedono soldi”
DAL NOSTRO INVIATO

VIENNA.
È arrivato a Vienna nel 1974 per studiare medicina ma poi ha riscoperto il mestiere del padre: da quarant’anni l’iraniano Abbas Abbasi vende tappeti persiani in un piccolo, frequentatissimo negozio del centro di Vienna. E si sente parte di una sorta di aristocrazia di migranti che guarda con sospetto ai profughi di oggi. «Io non sono scappato dallo scià, sono venuto a studiare a Vienna con una borsa di studio del mio Paese». Non voterebbe mai la destra populista, «però l’Austria è cambiata tanto. Era un Paese tranquillo, ma ora capisco gli austriaci arrabbiati. Adesso ne stanno arrivando troppi ». Dove “loro” sarebbero i migranti di oggi, i profughi che scappano dalle guerre dell’Is o dei Taliban, «per esempio gli afgani». Giura, Abbasi, che il noto pregiudizio degli iraniani nei confronti degli afgani non c’entra nulla: «È che ne arrivano tanti che non sono qualificati, con un livello di istruzione troppo basso».
In questa Austria infelix, spaccata a metà tra un voto anti e un voto pro-destra, persino gli stranieri più integrati si rintanano nella presunzione di far parte di un’élite che può permettersi di discriminare i nuovi migranti. In un bar con l’insegna di una nota miscela italiana ma dove il caffè sa di cicoria, ne incrociamo uno particolarmente arrabbiato. Anton è mezzo bulgaro e mezzo rumeno, è cresciuto in quartiere popolare di Vienna famoso per le grandi fabbriche di birra, fa il buttafuori e alle tre di pomeriggio combatte con un gigantesco bicchiere di Jaegermeister.

 «Noi siamo arrivati, abbiamo lavorato, non abbiamo approfittato degli aiuti pubblici, ci siamo integrati. Questi siriani arrivano qui e chiedono soldi. Ecco perché ho votato Hofer».

Ma è un altro elettore del candidato della destra populista a fornire una chiave interessante per spiegare questa “Austria spaccata”. Il ballottaggio che ha costretto quattro milioni e mezzo di elettori a una scelta tra due soli sfidanti nasconde un problema più complesso. Franz ha 32 anni e lavora in banca. Lo incontriamo davanti un bar alla moda coi tavolini all’aperto, mentre sorseggia un drink italiano molto alla moda anche nei Paesi nordici, lo spritz. Franz ha votato convinto per Hofer perché «sono stanco di questo Proporzsystem », termine con cui i leader della Fpoe fanno campagna elettorale da sempre.
Il “Proporzsystem” si può tradurre con “manuale Cencelli” o più modernamente con “spoil system”, insomma è il metodo con cui i due partiti che hanno dominato la scena politica del dopoguerra - popolari e socialdemocratici - si sono spartiti praticamente tutto, incarichi e partecipazioni, appalti, banche e la televisione pubblica. Karin Liebhart, politologa dell’Università di Vienna, conferma che «il sistema dei partiti - dominato sinora da SPÖ e ÖVP - non funziona più, e già da un pezzo, come dimostrano numerose elezioni regionali e federali degli ultimi anni».
Franz è troppo giovane per essere indulgente con un sistema che considera al tramonto. Ed è troppo giovane anche per non sentirsi attratto da un partito che usa i social media come nessun altro - ieri Hofer ha ammesso la sconfitta anzitutto su Twitter e Facebook - e ha scelto un candidato 44-enne contro il 72-enne Van der Bellen. I risultati mostrano chiaramente, precisa la politologa Liebhart, che Hofer «ha vinto nelle zone rurali e tra gli uomini; Van der Bellen nelle zone urbane», Vienna in testa, «e tra le donne ». Aggiunge la studiosa viennese che anche l’istruzione ha giocato un ruolo: «persone con un titolo di studio alto hanno dato una netta preferenza a Van der Bellen».
Tuttavia, a fare da acceleratore ad una stanchezza strisciante che da anni sta rosicchiando margini alle due Volksparteien, è arrivata la recente crisi dei profughi. Dunque più che al secondo turno, al match che si è concluso ieri con una vittoria di Van der Bellen, bisogna guardare al primo turno di queste dirimenti elezioni presidenziali. Il 24 aprile scorso, per la prima volta nella storia della Seconda repubblica, socialdemocratici e popolari sono rimasti fuori dal ballottaggio, sono arrivati addirittura quarti e quinti. Il sintomo di una crisi generale è già in quel voto: la manifesta sfiducia nella partitocrazia attuale «rappresenta una cesura netta nel sistema politico austriaco », conferma Liebhart.
Anche Franz Koessler, editorialista del Falter ed ex direttore della tv pubblica Orf, aiuta a leggere in filigrana il voto di ieri. Una buona metà di chi ha votato per Hofer, racconta, è «elettorato che non ha capito la sua carica eversiva, inteso nel senso negativo del termine. Gente spaventata, non per forza elettori di ultradestra ». Mentre una buona metà di chi ha scelto di votare Van der Bellen «lo ha fatto per impedire alla destra di prendere il potere. Anche elettori conservatori ». Una sorta di «resistenza repubblicana ». Che ha vinto. Almeno, stavolta.
©RIPRODUZIONE RISERVATA

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