Il grido di allarme sulla spesa delle risorse del Pnrr del sindaco Gaetano Manfredi e poi degli industriali come Antonio D’Amato, trova una prova inconfutabile nelle pagine della relazione annuale Svimez. Da una parte la pubblica amministrazione (ridotta all’osso e con poche competenze), dall’altra il debito comunale, rischiano di minare il Piano di ripresa nazionale.
Prendiamo Napoli, ad esempio. Il valore medio dell’indice di ricambio del personale in Italia è pari a 0,65 per tutto il periodo 2007-2018. Al Centro-Nord l’indice è pari a 0,70, nel Mezzogiorno 0,58. A Napoli, invece, è meno dello 0,40, a Palermo è prossimo addirittura allo zero. Il personale laureato in pochi casi supera il 30% del personale (Bari 37,60%, Roma 33,80%, Bologna 32% e Venezia 31,90%). Reggio Calabria ha registrato tra il 2007 e il 2018 una diminuzione del personale laureato: dal 22,30% al 20,90%. Tassi decisamente inferiori alla media nel 2018 per Palermo 10,70% e Napoli 19,60%. Cosa significa per la Svimez? «La minore capacità progettuale delle amministrazioni locali del Mezzogiorno le espone a un elevato rischio di mancato assorbimento. Con il paradosso che le realtà a maggior fabbisogno potrebbero beneficiare di risorse insufficienti». Cioè a causa di una Pa inefficiente si rischia di avere assegnati meno fondi di quelli previsti, che secondo le stime Svimez si aggirano intorno ai 20,5 miliardi (sui complessivi 82 destinati al Sud). Un dato che fa il paio con un altro ormai consolidato e tragico, nel 2020 il saldo migratorio interno risulta in media negativo al Sud per oltre 50 mila unità a favore delle regioni del Centro-Nord. Complessivamente nel periodo 2002/2020 coloro che sono emigrati dal Sud hanno superato il milione di persone, di cui circa il 30% laureati.
Per risolvere questi nodi non si può prescindere dall’inserimento di quadri tecnici in grado di gestire la progettazione e l’attuazione degli interventi del Pnrr. Ma, spiega Luca Bianchi, direttore Svimez (presieduta da Adriano Giannola), va rafforzato il supporto alla progettualità di questi enti decentrati attraverso: centri di competenza nazionali a supporto della Pa (come Consip, Invitalia, Sogei); centri di competenza territoriale, in raccordo con le Università, che la Svimez propone di costituire. E c’è da registrare su questo punto l’impegno della ministra per la Coesione Mara Carfagna durante la presentazione.
C’è poi un’altra emergenza: al Sud un cittadino su 3 risiede in un Comune in crisi finanziaria. Che significa grave divario nell’accesso ai servizi comunali: asili nido, servizi sociali, scuola primaria, acqua, rifiuti. E lo sanno bene i napoletani, il debito è una vera zavorra per i meridionali: 1 su 3 dovrà farsi carico del rientro del debito attraverso una maggiore pressione fiscale. Cioé più tasse. Un’altra sfida decisiva, per Svimez, riguarda il coordinamento tra fondi del Pnrr e fondi della politica di Coesione, che non possono andare avanti come due compartimenti stagno.
Quanto ai dati economici, sono evidenti due disuguaglianze quella di genere e quella salariale che compromette i consumi.
Nel 2022 la Svimez prevede un aumento del Pil del +4,2% al Centro-Nord e del +4% nel Mezzogiorno. Nel biennio 2023/2024 prevediamo al Sud rispettivamente +1,9% il primo anno e 1,5% il secondo, mentre nel Centro-Nord il Pil crescerebbe del +2,6% nel 2023 e del +2% nel 2024. Nel quadriennio l’impatto relativamente maggiore delle manovre di finanza pubblica e del Pnrr al Sud rispetto al Centro-Nord, dovrebbe impedire al divario di riaprisi. Ma la debolezza dei consumi, conseguente alla dinamica salariale piatta (15,3% di dipendenti con bassa paga nelle regioni meridionali rispetto a 8,4% in quelle centro settentrionali), al basso tasso di occupazione e all’eccessiva flessibilità del mercato del lavoro meridionale con il ricorso al tempo determinato per quasi 920 mila lavoratori meridionali (22,3% al Sud rispetto al 15,1% al Centro-Nord) e al part time involontario (79,9% al Sud contro 59,3% al Centro-Nord), frenerebbe la crescita. L’associazione stima che, dopo lo sblocco dei primi licenziamenti da fine giugno, ci siano stati circa 10.000 espulsi dal mercato del lavoro, di cui il 46% concentrato nelle regioni meridionali.
Senza contare il divario di genere: la quota di donne Neet è molto elevata nel Mezzogiorno, quasi 900mila,con valori intorno al 40% rispetto al 17% nella media europea. Il tasso di occupazione delle 20-34enni laureate da 1 a 3 anni è appena il 44% nel Mezzogiorno a fronte di valori superiori al 70% nel Centro-Nord. Rispetto al secondo trimestre 2019, l’occupazione femminile nel Sud si è ridotta di circa 120mila unità nel 2021.