Lavoro e fiducia nella crisi.
Un grande deficit di politica da colmare
Come in una matrioska, la crisi di governo è all’interno di una più grande crisi economica e sociale, a sua volta inserita in una crisi sanitaria nazionale e mondiale. Quella politica è certamente la difficoltà più piccola, ma si può dire sia il vero nocciolo della questione. E, se non lo si affronta, si rischia di rimanere soffocati dalle incertezze più grandi.
Oggi, se guardiamo alla seconda bambolina della matrioska, questa fiducia nel futuro che molto muove è ai minimi termini. La crescita italiana è ferma da decenni. Le previsioni ci dicono che - se #andràtuttobene - solo nel 2026 il nostro Pil riuscirà a tornare al di sopra del valore al quale eravamo a dicembre 2019. Ovunque volgiamo lo sguardo, oggi troviamo difficoltà, impoverimento, sfiducia fino alla paura. In quest’anno terribile si sono acuite le diseguaglianze tra chi è protetto e chi no. La cassa integrazione, il Reddito di cittadinanza e quello d’emergenza, pure fondamentali, non hanno tutelato tutti in modo omogeneo. La cassa in deroga e i ristori sono arrivati a singhiozzo e molte categorie di freelance, autonomi e precari d’ogni tipo sono rimasti scoperti. Imprenditori e lavoratori della ristorazione, della cultura, del turismo versano in una condizione di incertezza totale, senza prospettive.
Il blocco dei licenziamenti fino a marzo ha salvato la gran parte dei dipendenti ed è probabile che verrà rinnovato, così come giustamente richiesto dai sindacati. Ma è come mantenere in coma artificiale il sistema produttivo: non si può fare all’infinito. Prima o poi gli anestetici vanno ridotti, il paziente risvegliato per saggiarne la reazione alla malattia, le capacità di adattamento dell’organismo. Quando quel momento arriverà, sarà necessario che il nostro sistema di servizi per il lavoro – pubblico e privato in sinergia – sia messo in grado di assorbire il colpo di almeno mezzo milione di licenziamenti, che aggiunti ai posti già persi fanno un milione di nuovi disoccupati in totale. Senza contare che, se non si può lavorare, i sussidi evitano la fame, ma non che si muoia dentro per la dignità perduta, il senso di inutilità e impotenza.
Sono solo alcuni esempi di ciò che c’è da affrontare. Il Piano nazionale di ripresa e resilienza impiegherà risorse mai avute a disposizione dal nostro Paese. Ma non è manna dal cielo: investiremo denaro che i nostri figli ripagheranno in termini di futuro livello d’imposte, contributi, occupazione, sviluppo e welfare. Per tutto ciò non basta trovare il voto di qualche parlamentare più o meno "responsabile". I veri "responsabili" sono stati gli italiani che sinora hanno in larghissima maggioranza rispettato le restrizioni sanitarie, e questo anche se la loro condizione si è fatta precaria, persino drammatica. Cittadini che ogni giorno rinnovano la loro fiducia nella Repubblica, nelle sue istituzioni democratiche, nell’essere "comunità", anche al di là di ideologie e legittime divisioni politiche.