COMMENTI
FERDINANDO GIUGLIANO
Il modo migliore per aiutare il sistema bancario a liberarsi dal fardello delle sofferenze bancarie sta nell’agevolare le procedure che permettono di appropriarsi delle garanzie che accompagnano i prestiti andati a male. Il governo ha già fatto dei passi importanti in questa direzione, per esempio con la recente riforma dei fallimenti che aumenterà il prezzo che i possibili acquirenti sono disposti a pagare per pacchetti di crediti deteriorati. Ma il processo di riforma non è completo: come ricordato dal presidente della Banca Centrale Europea, Mario Draghi, a dicembre, i miglioramenti apportati alle procedure fallimentari potranno produrre i risultati sperati solo in presenza di una vera riforma della giustizia civile, che riduca i tempi dei contenziosi e dunque l’incertezza per gli investitori.
Questi cambiamenti avrebbero effetti che vanno ben oltre il sistema bancario. Solo un’economia capace di accettare i fallimenti e di accelerare la ridistribuzione del capitale può permettere alle realtà industriali più innovative di crescere e produrre lavoro e ricchezza. La “distruzione creativa” predicata da Joseph Schumpeter è il migliore antidoto all’immobilismo a cui siamo abituati.
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DOPO aver retto meglio di altri alla crisi del 2008, il sistema bancario italiano è oggi uno dei principali ostacoli a una ripresa sostenibile e duratura. La lunga recessione che ha colpito l’Italia, insieme a casi di gestione clientelare del credito, hanno prodotto 200 miliardi di sofferenze bancarie che intasano i bilanci delle banche e rallentano l’emissione di prestiti verso le aziende più innovative. L’incertezza sulla reale gravità del problema contribuisce a minare la fiducia degli investitori, facendo sì che molte banche italiane valgano in borsa meno dei loro rivali europei. Questa montagna di debiti dalla difficile riscossione aumenta il pericolo di crisi bancarie, come quella di Banca Etruria e delle sue sorelle: il rischio è che i risparmiatori smettano di fidarsi del sistema bancario, provocando situazioni di panico che, una volta innescate, sono molto difficili da frenare.
In questo contesto, il governo e la Banca d’Italia si stanno adoperando per aiutare le banche a liberarsi di questi pacchetti di prestiti deteriorati e venderli a società specializzate, disposte ad accollarsi il rischio. Il problema è il prezzo di questa transazione: i compratori sono disposti a pagare una cifra ben inferiore rispetto a quella richiesta dalle banche. Una vendita con uno sconto eccessivo provocherebbe dei buchi nei bilanci degli istituti di credito, obbligandoli a dover cercare nuovo capitale per evitare la liquidazione.
Per colmare questa differenza fra domanda e offerta, l’Italia sta pensando a delle garanzie statali, che trasferiscano al contribuente parte dei rischi di default dei debitori. L’operazione avrebbe il vantaggio di allargare la platea di aspiranti acquirenti anche a soggetti istituzionali meno propensi al rischio, aumentando il prezzo dei pacchetti e agevolandone le vendite.
Questa strategia si scontra da diversi mesi con la Commissione Europea, che vede il pericolo di un possibile aiuto di stato: per il commissario alla concorrenza, Margrethe Vestager, le garanzie pubbliche devono essere offerte a un prezzo di mercato, onde evitare che le banche italiane siano aiutate rispetto ai loro concorrenti stranieri e che i contribuenti si accollino dei rischi senza essere adeguatamente compensati.
I paletti imposti da Bruxelles hanno creato molta irritazione in Italia, dove la Commissione è stata accusata di ipocrisia e doppiopesismo. In particolare, si ricorda come durante la crisi la Germania abbia fatto largo uso delle garanzie statali, oltre a pompare soldi dei contribuenti per rafforzare il capitale delle sue banche.
Quest’atto d’accusa rischia però di spostare l’attenzione dalla domanda centrale, ovvero se l’operazione che Roma ha messo a punto in queste settimane abbia davvero senso dal punto di vista economico.
I sostenitori delle garanzie pubbliche credono sia necessario l’intervento dello Stato perché siamo davanti a un fallimento del mercato della compravendita dei crediti deteriorati. In questa ottica, i compratori non hanno abbastanza visibilità sulla qualità del credito e sono pertanto disposti a pagare prezzi più bassi di quelli che pagherebbero in presenza di informazioni complete. Ma la soluzione a questo problema sta in una migliore mappatura dei prestiti problematici, che riduca l’incertezza degli investitori.
Le garanzie statali, invece, finiscono per esporre il bilancio dello Stato a dei rischi. Questo problema è tanto più rilevante in un Paese come l’Italia che per anni ha usato il debito pubblico come ammortizzatore di errori commessi da privati, che ha portato le nostre finanze ai limiti dell’insostenibilità.
Se le garanzie pubbliche arriveranno, dovranno dunque avere un prezzo che sia in grado di compensare il contribuente per i rischi che si accolla. Ancora meglio sarebbe coinvolgere società private nell’emissione delle garanzie, in modo da dimostrare alla Commissione che l’operazione non costituisce un aiuto governativo.