SPETTACOLI
HANIF KUREISHI
DAVID Bowie ed io siamo andati nella stessa scuola di Bromley, il quartiere di South London dove eravamo cresciuti, ma a una decina d’anni di distanza, quelli che ci separavano. Eppure gli insegnanti non se l’erano dimenticato. Una professoressa un po’ antipatica mi avvertiva che, se avessi continuato a fare il ribelle, avrei fatto la stessa fine di Bowie: non so bene cosa intendesse, ma per me era un complimento. Un altro professore, quello di arte, era lo stesso che aveva avuto David: con lui abbiamo fatto tante discussioni su Bowie, sul suo messaggio di ribellione, su come aveva fatto lui ad uscire da Bromley e su come avremmo potuto imitarlo.
Quella squallida periferia, immersa nel perbenismo e nelle rigide divisioni del classismo dell’Inghilterra di quell’epoca, soffocava i ragazzi della mia generazione così come era stata soffocante per David. Lui ce l’aveva fatta ad abbattere quel muro, speravamo di riuscirci anche noi: perciò ebbe un’enorme influenza nei giovani di allora. La sua canzone Rebel, rebel, che ascoltavo e riascoltavo incessantemente, suonava anche per me e per tutti quelli come me, perché tutti noi con i capelli lunghi e decisi a rompere con le tradizioni ci sentivamo dei ribelli. Questo è stato il mio primo contatto con Bowie.
Poi siamo diventati buoni amici e per un certo periodo di tempo, a metà degli anni Novanta, ci siamo frequentati spesso. Cominciò quando David compose la colonna sonora per il film televisivo in quattro episodi della Bbc tratto dal mio romanzo Il budda delle periferie.
Andai in Svizzera nello studio di registrazione in cui Bowie scriveva la musica e la prima volta che l’ascoltai ebbi la sfrontataggine di notare che mancava qualcosa. David andò a casa, riscrisse tutto da capo e dopo un paio di giorni me la fece riascoltare.
Lo racconto solo per dire quanto fosse disponibile, gentile e pronto a recepire l’opinione altrui, nonostante fosse già una celebrità. In pubblico, nei concerti, nei suoi video musicali, interpretava il ruolo di un alieno sotto varie forme, ma in privato si rivelò a me come una persona estremamente normale, nel senso che non si dava arie, non si era montato la testa, non si uniformava allo stereotipo della rock star stravagante. Si comportava come un autentico gentiluomo. Un tipo ordinario, lo si sarebbe potuto definire, sebbene dal punto di vista artistico fosse di un talento straordinario. Collaborando insieme per quel telefilm e in seguito in altri progetti, da un libro che lui doveva illustrare e io scrivere a tante conversazioni sui Ziggy Stardust e altre storie, sperimentai anche le sue doti di grande lavoratore, carico di energia e passione.
Musicalmente è stato uno dei grandi del pop in tutte le sue forme, un camaleonte capace di saltare da un genere all’altro pur restando sempre fedele al proprio timbro unico e originale. Era sempre lo stesso e sempre differente. Mi sentirei di metterlo su un podio ideale della musica del nostro tempo insieme a Elvis, ai Beatles e a Bob Dylan, solo che David ha probabilmente avuto più influenza perfino di Dylan sulla musica e sui musicisti venuti dopo.
Dal punto di vista artistico era un musicista sempre all’avanguardia che tuttavia riusciva anche a essere popolare, a piacere a tutti e subito, pur rimanendo inconfondibile per il suo stile. Se c’è un artista a cui lo paragonerei è Pablo Picasso, proprio per questa capacità di andare contro corrente riuscendo lo stesso a cavalcare l’onda del grande successo di massa. Un innovatore, un rivoluzionario, ma capace di rendere ogni sua svolta adatta allo spirito del tempo, comprensibile a tutti.
Non faccio a caso il paragone con il grande pittore, perché David era un artista nel senso pieno del termine. In effetti il suo talento trascendeva la musica, sconfinando nel cinema, nelle lettere, nell’arte perché era lui stesso pittore, nel fashion per l’influenza che ha avuto il suo modo di vestire. Ed è stato un ribelle anche in senso sociale, rivoluzionando i costumi con la sua ambiguità sessuale, precedendo i tempi, aprendo la strada verso il futuro. Un genio incredibilmente scaturito dal buio della periferia inglese degli anni 50 e 60.
Voglio credere che il genio riesca sempre a imporsi, ma uscire oggi da quella stessa periferia è più difficile, perché gli anni 60-70 furono un periodo di grandi sommovimenti sociali, in Inghilterra e in tutto l’Occidente. Allora e per un certo periodo di tempo l’arte usciva proprio dalle periferie, dai ghetti urbani, da ragazzi poveri come lo era Bowie e come lo sono stato io. Mentre ora viviamo in una società paradossalmente più élitaria, in cui molti artisti non a caso provengono dalle classi privilegiate.
David ci ha lasciati, ma per fortuna rimane il suo messaggio, Rebel, rebel, a ricordarci che non bisogna mai arrendersi al conformismo, alla diseguaglianza e al moralismo.
( testo raccolto da Enrico Franceschini. L’ultimo libro di Kureishi è “ Un furto” pubblicato da Bompiani)
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