Intervista
di Rita Querzè Mareschi Danieli (Confindustria): così colpiscono tutti
È successo a marzo, quando Xi Jinping è arrivato in Italia. Ed è accaduto di nuovo ieri, in occasione dell’arrivo di Putin. La Danieli, gruppo friulano specializzato nella costruzione di impianti per la siderurgia, si è trovato tra le imprese che hanno incontrato la delegazione venuta da Mosca.
Orgogliosa?
«Beh, sì — risponde Anna Mareschi Danieli, 38 anni, direttore finanziario del gruppo di famiglia e presidente di Confindustria Udine —. Però, confesso che in queste occasioni c’è anche una punta di amarezza. Perché l’Italia sarebbe più forte a questi tavoli se avesse anche un maggior numero di campioni pubblici. Certo, noi cerchiamo di fare la nostra parte».
All’incontro Putin non c’era ma era presente la sua delegazione. Si è parlato della questione delle sanzioni Ue alla Russia?
«All’incontro ha partecipato il nostro presidente, Gianpietro Benedetti. Comunque certo, impossibile non parlarne perché è il principale nodo. D’altra parte l’Italia non può trovare una soluzione da sola. Ci sono però alcuni paradossi su cui sarebbe ragionevole intervenire».
Spiegherebbe anche a noi?
«Prima cosa: le sanzioni non vanno confuse con i dazi. Gli Usa di Trump hanno messo i dazi sull’acciaio. Per gli americani oggi acquistare acciaio o macchinari in acciaio in Europa costa il 30% in più».
Non compreranno più i vostri macchinari...
«E invece nell’ultimo anno abbiamo più che raddoppiato il nostro fatturato negli Usa. I grandi produttori mondiali di impianti per la siderurgia sono tre: noi, i tedeschi, e un gruppo austriaco da qualche anno acquisito dai giapponesi di Mitsubishi. Gli americani vogliono tornare a produrre acciaio a casa loro, per cui acquistano i nostri impianti anche se costano di più».
E la Russia?
«Con le sanzioni il discorso è diverso. C’è una lista di beni che semplicemente non possono essere venduti in Russia. Questo già crea un danno enorme. L’economia italiana ha visto il mercato dei macchinari contrarsi di circa 2 miliardi di euro».
I vostri impianti sono nella black list?
«Molti no, per nostra fortuna».
E allora nessun problema.
«Magari! Il fatto è che quando noi vendiamo uno dei nostri impianti in Russia, e parliamo di valori di decine di milioni di euro, riceviamo un anticipo più una lettera di credito. In pratica la banca del cliente mette a disposizione fondi affinché il fornitore (cioè noi) possa essere pagato. Questa lettera di credito però deve essere confermata da un istituto (nel nostro caso italiano) per assicurare il pagamento in caso di default della banca estera. Ed eccoci al nodo: le banche europee in generale hanno limitazioni nel confermare il credito delle banche russe».
Quindi quando gli italiani prendono una commessa in Russia rischiano di più.
«Esatto».
Ci sono le ragioni dell’impresa ma anche quelle della politica. Le sanzioni europee alla Russia derivano dalla crisi con l’Ucraina...
«Ce ne rendiamo conto. Ma senza nulla togliere alla fondatezza delle motivazioni della politica, si potrebbe almeno rendere coerenti queste sanzioni. E non penalizzare anche l’export di beni che non sono compresi nella lista dell’export proibito o con controparti non sanzionate».
L’incontro è stato utile?
«Le occasioni di incontro sono sempre utili. Ma il problema resta sul tavolo. Per di più in un momento cruciale. Il mercato russo si sta sbloccando, stanno cominciando a rinnovare i loro impianti. E l’Italia rischia di perdere l’ennesima opportunità».
L’Italia è solo uno dei Paesi dell’Ue. Cosa può fare per supportare le imprese che esportano in Russia?
«Sace (società di Cdp, ndr;) è passata da oltre un miliardo di euro di coperture per le transazioni che riguardano Danieli a poco più di 100 milioni nel 2018. Per coperture intendo le garanzie sui finanziamenti. In questo modo esportare diventa più difficile. E non solo in Russia. È la solita storia: le imprese italiane devono fare da sole. Negli altri Paesi hanno strutture che le supportano. Anche questo spinge (e a volte costringe) gli italiani a investire all’estero».
Danieli ha un’attività in Germania.
«Produrre là ovviamente per noi costa di più ma il supporto del sistema Paese oggi non è paragonabile. Da non molto si è aperto un dialogo costruttivo durante la riorganizzazione Sace-Cdp e siamo quindi molto fiduciosi».