Forse la parolaccia ("stronzo") non gli farà avere più voti, ma lo riscatta dall'imitazione del linguaggio della Dc
DI FRANCESCO MERLO
"Meno stronzate" ha detto ieri Di Maio a Salvini finalmente liberandosi - non sembri un paradosso - della volgarità da finto elegantino. "Meno stronzate" liquida infatti l'arzigogolio soffocante e parademocristiano che gli ha fatto sbagliare mille congiuntivi. "Meno stronzate" ha la dignità linguistica della verità che, anche nella sua forma più ruvida, è migliore della raffinatezza posticcia e incipriata con cui da troppo tempo si traveste il Di Maio di governo.
"Meno stronzate" lo riscatta delle finte sapienze di storia e geografia - indimenticabili "la millenaria democrazia francese" e il "presidente Ping", - nelle quali si è smarrito "per non essere da meno / per sembrare un gran signor", come cantava (Prendeva il treno) Enzo Jannacci, quello che poi fece l'elogio delle scarpe da tennis al quale liberamente è ispirato questo nostro elogio della stronzata. Ecco: le parolacce grilline sono le scarpe da tennis che Di Maio "portava" e che ieri è tornato, per un abbagliante momento, a esibire.
La bellezza trasandata della parola "stronzate" non gli farà vincere le elezioni di domenica, ma lo farà almeno somigliare al generale Cambronne. Si sa come andò a Waterloo, che fu la più gloriosa delle disfatte della storia. Quando il nemico inglese gli chiese di arrendersi, Cambronne rispose "merda" e condannò i suoi uomini alla morte per massacro. Scrisse Victor Hugo: "Dire quella parola e poi morire, cosa c'è di più grande?". E ancora: "Chi ha vinto a Waterloo è Cambronne!".
Forse è troppo tardi per fare riguadagnare ai 5 stelle qualche voto sulla Lega, che della malaparola vincente è tornata la padrona, ma "meno stronzate" rende giustizia alla natura di capo grillino di Di Maio che nella malaparola si è formato e della malaparola aveva fatto il punto fermo della propria politica.
Certo, "stronzate"è ancora poco perché Di Maio ritrovi tutto se stesso, ma può essere un buon punto per ri-cominciare, e intanto perché nella pur lunga storia del turpiloquio italiano non si ricordano parolacce su bocche così istituzionali e dunque solo ora il famoso cambiamento è una promessa rispettata.
"Meno stronzate" può inoltre segnare un altro giro di boa nel decoro delle istituzioni: non più la parolaccia che scappa come un'emergenza e nel linguaggio politico è sempre esistita, ma la semplificazione che sostituisce un intero e inutile vocabolario; una sola parolaccia, finalmente ricca, per un discorso povero, una sola violazione delle buone maniere al posto di tutte quelle frasi sempre più ostili e piene di trabocchetti con le quali si sono affrontati i due vicepresidenti (solo Giovanni Floris chiama Di Maio "presidente" e solo Massimo Giletti, sempre su La7, promuove "presidente" Salvini).
Diciamola tutta: Di Maio perde consensi anche perché si è imbrogliato nell'imitazione del linguaggio di Moro, Forlani e De Mita, proprio lui che diceva "vaffa" e diceva tutto. E va riconosciuto che ha saputo ben scegliere per questo nuovo debutto, per questo ritorno al futuro. La parolaccia "stronzate"è infatti tra le più interpretate e tra le più divertite, così carica di significati da essere (anche) insignificante. E le sono stati dedicati due saggi di filosofia di grande fortuna mondiale: On Bullishit di Harry Frankfurt, professore a Princeton (tradotto Stronzate per Rizzoli) e Asshole (stronzo) di Aaron James, professore ad Harvard.
Inutile dire che stronzata è un derivato di stronzo e che il significato cambia sia nel diminutivo (...ina) sia nell'accrescitivo (...ona) sia nel peggiorativo (...accia). E può prendere pure sfumature positive come nella canzone di Marco Masini ("è la mia canzone più richiesta") che forse anche Di Maio potrebbe dedicare al suo amatissimo nemico Salvini: "Bella stronza io ti ho dato troppo amore / bella stronza che sorridi di rancore".
La conclusione di tutti gli studiosi è quella stessa del filosofo italiano Stefano Bonaga che nella sua Semantica dello stronzo (e dunque della stronzata) scrive: "È molto più facile dire chi è uno stronzo di quanto non sia dire cos'è uno stronzo".
Senza infilarci, alla fine, guidati da questi serissimi studiosi, nelle filosofie di Cartesio, Wittgenstein e Popper, ci basta aggiungere qui che il pasticcione Di Maio finalmente ieri sapeva quello che diceva.
Sui dizionari la "stronzata"è spiegata con una pioggia di parole, ciascuna delle quali sarebbe buona ma non sufficiente per definire, via via, le varie politiche di Salvini e dell'intero governo gialloverde: immigrati, porti, rom, religione, famiglia, sicurezza... Dunque si va da sciocchezza a stupidaggine moralmente abietta, ma ci sono anche leggerezza e tutti i sinonimi di menzogna, anche quella detta "con sfacciato piacere". Chissà se Salvini ha letto Eric Ambler (Dirty Story): "Mai dire una bugia quando puoi cavartela a forza di stronzate".