L'irresponsabilità della campagna elettorale del governo gialloverde non sfugge ai mercati e punisce i cittadini
DI SERGIO RIZZO
Soltanto pochi giorni fa Giuseppe Conte giurava che l'aumento dell'Iva sarebbe stato scongiurato. Ora invece è costretto ad ammettere che "non sarà facile" evitarlo. Non sarà facile perché l'esultanza di Luigi Di Maio per i dati del fatturato industriale a marzo (+0,3% su febbraio) non possono coprire la realtà di un'economia che secondo Eurostat cresce in Europa più lentamente di tutti insieme al Belgio e a forza di zero virgola difficilmente potrà cambiare passo, come invece servirebbe.
Ma non sarà facile anche perché l'irresponsabilità con cui viene condotta questa campagna elettorale non sfugge agli investitori che assistono a questo spettacolo da fuori. E magari hanno comprato i nostri titoli di Stato però adesso li vendono, dopo aver sentito Matteo Salvini dire che si deve sfondare il rapporto del 3% fra deficit e Pil, una delle "regole europee che stanno portando precarietà, disoccupazione e povertà", con il sottosegretario alla presidenza Giancarlo Giorgetti che incredibilmente gli dà man forte. Mentre l'ideologo antieuro del suo partito Claudio Borghi ci mette un carico da undici affermando: "Il rapporto del 3% non ha senso, se un Paese vuole crescere di più deve aumentare il deficit".
Quegli investitore li vendono, i nostri Btp. Con la conseguenza di far salire lo spread. Cioè il differenziale di rendimento con i titoli tedeschi che nel frattempo, con i soldi incassati dalla vendita dei nostri Btp, ha comprato. Per come si stanno mettendo le cose in Italia i loro denari sono più al sicuro in Germania. Eppure almeno Borghi, che se ne dovrebbe intendere avendo lavorato nelle banche d'affari estere, dovrebbe sapere che parole come queste se spaventano gli investitori sono addirittura benzina per la speculazione. Quindi misurarle, visto che è presidente della commissione Bilancio della Camera e dette da lui adesso le parole pesano assai più di quando era solo un privato fervente euroscettico. Come dovrebbe a maggior ragione misurarle lo stesso Salvini, anziché rispondere alzando le spalle a chi gli chiede se sia preoccupato dell'impatto che le sue dichiarazioni hanno sullo spread "perché prima viene il diritto al lavoro, alla vita e alla salute degli italiani".
Un uomo di governo non potrebbe ignorare quanto lo spread da lui frettolosamente liquidato incida sulle tre cose che cita. Perché i soldi in più che a causa dell'aumento dei rendimenti dei titoli pubblici saremmo costretti a pagare sarebbero infatti tolti al lavoro, alla salute e alla vita degli italiani. Ma la lezione di quel maledetto 2012, anno durante il quale lo spread mai scese sotto quota 300 punti base, già superata negli scorsi mesi e avvicinata ieri, non dev'essere servita a niente. Nel solo 2012 l'impennata dei rendimenti fece salire l'esborso per gli interessi, con un debito pubblico allora inferiore di 350 miliardi circa a quello attuale, a 83,6 miliardi. Secondo Bankitalia circa 19 miliardi in più di quelli spesi oggi, e risultò il salasso più caro dal lontano 1998. Nei tre anni dal 2011 al 2013, durante i quali si registrarono forti tensioni sui mercati, con una forbice dello spread dai 574 punti base del 9 novembre 2011 ai 216 del 30 dicembre 2013, la spesa per gli interessi sul debito rispetto al 2010 lievitò rispettivamente di 7,6, 14,8 e 8,8 miliardi. Totale: 31,2 miliardi in soli 36 mesi, quasi un miliardo al mese di maggiore spesa.
Ma se facessimo il confronto con quanto abbiamo speso nel 2018 grazie all'euro e allo spread rimasto su livelli molto più bassi dal 2016 e fino al maggio dello scorso anno, il conto sarebbe ancora più salato: 42,9 miliardi. Tanto da fare un sol boccone dell'aumento dell'Iva se dovessero scattare le famose clausole di salvaguardia, pari a 23,1 miliardi per il 2020 e 28,8 per il 2021. Ecco il conto dello spread. A quel punto non soltanto "non sarà facile" bloccare gli aumenti automatici dell'imposta, bensì decisamente impossibile.
Sempre che non si voglia scegliere ancora una volta la strada dello scontro diretto con Bruxelles. Che in ogni caso, anche se i partiti sovranisti dovessero riportare risultati eclatanti alle elezioni europee, non potrà concedere a Roma i margini di manovra che vuole Salvini. Per quanto ostili all'Unione, pure i governi sovranisti che i nostri immaginano possibili alleati mai e poi mai potrebbero accettare che l'Italia scassi i conti, con gravi ripercussioni su tutta l'eurozona. E un eventuale scontro, portato alle sue estreme conseguenze (impensabile che un governo gialloverde accetti il commissariamento della troika), non potrebbe che avere un esito: il default del debito pubblico e la conseguente uscita dalla moneta unica e dall'Unione. Se qui si vuole arrivare, questa è la via giusta. Perché giocare con lo spread in questo modo è davvero giocare con il fuoco. Oltre che con la nostra vita.