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Così nella rete gialloverde rischia di sparire l’Inps di tutti

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6/1/2019
ECONOMIA
Il caso
La riforma degli enti previdenziali

ROBERTO MANIA,
ROMA
L’Inps siamo noi. Prima con il nostro lavoro e il versamento dei contributi, poi con le pensioni che riceviamo.
In mezzo con tante altre cose: la cassa integrazione, l’indennità di disoccupazione, le prestazioni assistenziali, i bonus che si sono moltiplicati negli ultimi anni, fino al reddito di inclusione, fratello maggiore di quello di cittadinanza. L’Inps è il più grande ente previdenziale d’Europa, è la nostra fabbrica di welfare a ciclo continuo, è la più ricca banca dati del Paese. Ogni anno lavoratori e imprese destinano all’Inps circa 230 miliardi di euro, altri 110 miliardi arrivano dalla fiscalità generale per far fronte alle esigenze non previdenziali. Per un totale di oltre 400 prestazioni.
Chi paga le tasse, dunque, lo fa anche per questo. Ed è per queste ragioni, contabili e solidali, che l’Inps deve funzionare meglio ma restare di tutti. Non di chi vince le elezioni politiche e si trova – pro tempore – a governare. Quei quasi 350 miliardi vanno spesi nell’interesse di tutti, tanto più in un’epoca nella quale si sono accresciute le diseguaglianze, il lavoro è diventato instabile e frammentato, ed è sempre più difficile per le casse pubbliche affrontare le nuove esigenze sociali legate al progressivo invecchiamento della popolazione. Eppure la nuova maggioranza di governo sta puntando alla conquista dell’Inps, con spirito smaccatamente partigiano. Per ragioni di spartizione del potere e di bieca lottizzazione ma soprattutto perché i due provvedimenti bandiera di M5S e Lega (reddito di cittadinanza e pensionamento anticipato con "quota 100"), quelli con cui hanno vinto le elezioni (per quanto su sponde diverse) e per i quali hanno sfidato le regole di Bruxelles, trovano nell’Inps il luogo centrale per la loro attuazione. Senza la macchina dell’Inps, in termini di conoscenze e di ramificazione nel territorio, entrambi sono destinati a fallire ancor prima della partenza.
Dunque i gialloverdi metteranno le mani sull’Inps, ma non è ancora chiaro come e con chi.
Per ora è stato bloccato il maldestro tentativo di commissariare sia l’Inps sia l’Inail. Serviva soprattutto a fare fuori un mese prima della scadenza naturale del suo mandato Tito Boeri, attuale presidente dell’Inps, economista, professore alla Bocconi di Milano, che non si è piegato né, prima, a Matteo Renzi, nonostante fosse stato proprio l’ex leader del Pd a sceglierlo, né, dopo, all’alleanza neo populista. Boeri ha sempre detto quel che pensava e per questo è diventato ingombrante. La rimozione anzitempo ne sarebbe però stata solo una conferma.
Così ad impedire il commissariamento per decreto è stato ieri Luigi Di Maio, che è anche ministro del Lavoro da cui dipende l’Inps, il quale per una volta è riuscito a smarcarsi da Matteo Salvini e scrivere un’agenda in parte diversa. Forse anche ricordando le proposte di Boeri (utili ai Cinque Stelle) per il ricalcolo dei vitalizi parlamentari. Non un commissariamento per decreto, dunque, ma una riforma della governance dei due istituti previdenziali, Inps e Inail, sempre per decreto. Boeri terminerà, senza strappi, la sua presidenza a metà febbraio. E terminerà anche la gestione monocratica dell’Inps, con il presidente pigliatutto, voluta dieci anni fa dal governo Berlusconi che affidò i circa 30 mila dipendenti dell’istituto ad Antonio Mastrapasqua, rimosso poi dal governo Letta a causa delle inchieste giudiziarie che ne avevano fatto emergere i tanti,intollerabili, conflitti di interesse. All’Inps tornerà il consiglio di amministrazione (quattro membri) con un presidente.
Riforma ampiamente condivisa da tempo da tutti i settori politici (alla Camera sono state depositate due proposte di legge di Lega e Pd sostanzialmente identiche) e anche dai sindacati che tuttavia manterranno il ruolo di indirizzo e vigilanza sull’ente attraverso il Civ (Consiglio di indirizzo e vigilanza).
I tempi per l’attuazione della riforma non saranno brevi.
Serviranno mesi: prima per la conversione in legge del decreto, poi per il via libera a maggioranza assoluta da parte delle Commissioni parlamentari dei consiglieri prescelti. E qui il rischio forte è proprio quello della lottizzazione selvaggia: la maggioranza potrebbe nominare un consiglio di amministrazione espressione esclusivamente di se stessa, senza lasciare anche una sola presenza all’opposizione. Fare del governo dell’Inps un monocolore sovranista-populista. Piegando, a quel punto, l’ente previdenziale agli obiettivi indicati nel "contratto di governo".
Una torsione che potrebbe mettere in seria difficoltà il funzionamento stesso dell’istituto. Già oggi l’Inps fa fatica a fronteggiare la richiesta crescente di prestazioni con un organico che è rimasto inalterato negli anni a causa del blocco delle assunzioni nella pubblica amministrazione, e che è sceso da quasi 33 mila persone nel 2012 a poco più di 27 mila nel 2018. Le assunzioni programmate entro la fine dell’anno sono poco più di una goccia nel mare. Va aggiunto che l’Inps non è più giovane: l’età media dei dipendenti è oggi di 54,8 anni con il picco di 56 anni in Abruzzo e Basilicata.
Ma in questa corsa alla conquista del potere non va dimenticato nemmeno l’Inail che ogni anno inietta sul mercato un miliardo circa di investimenti mobiliari e immobiliari, in edilizia scolastica, edilizia sanitaria, uffici pubblici e anche nelle start up. Un polmone finanziario che i gialloverdi hanno cominciato a scoprire con il taglio da 1,6 miliardi al costo del lavoro delle imprese riducendo i premi Inail.
E così si prepara lo spoils system, guardando alle prossime elezioni europee di maggio.

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