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"Stiamo rivivendo un incubo lo Stato non protegge i pentiti"

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CRONACA
L’intervista

Qualche giorno fa l’uccisione del cognato a Pesaro, la località segreta nella quale viveva "Il sistema ha delle falle. Tutti sanno chi sei, ma io e mio marito rifaremmo questa scelta"
GIUSEPPE BALDESSARRO,
La moglie del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese
Dal nostro inviato
PESARO
«Quella scena mi ha riportato dietro di 14 anni, alla disperazione vissuta il giorno in cui hanno ucciso mio padre.Marcello era un uomo mite, una brava persona. Non meritava di morire. Questa storia ci ha fatto ripiombare tutti in un incubo».
Ha gli occhi lucidi la moglie del collaboratore di giustizia Girolamo Bruzzese. Lucidi e asciutti come quelli di chi non ha più lacrime. Il giorno di Natale due sicari hanno scovato e assassinato suo cognato a Pesaro, dove si trovava in località segreta, in teoria protetto dallo Stato. Un agguato mafioso in piena regola, contro chi aveva come unica colpa quella di essere il fratello di un pentito. Parla a dieci giorni dall’omicidio la signora Bruzzese, a condizione che il suo nome da nubile non venga riportato. Perché, spiega, «lavoro con la mia vera identità in un’altra città e se scoprissero chi sono, tutto sarebbe definitivamente perso».
Con l’omicidio di suo cognato Marcello Bruzzese la sua famiglia è stata catapultata nel passato.
«Ero a Messa, quando sono uscita dalla chiesa ho visto che avevo una serie di telefonate non risposte sul cellulare. Ho richiamato è mi hanno detto che forse Marcello aveva avuto un incidente. Quando sono arrivata sotto casa sua ho però capito immediatamente cosa era successo. Ho rivissuto la scena del 9 febbraio 2004, quando a Rizziconi, in Calabria, uccisero mio padre per ritorsione nei confronti di mio marito che aveva iniziato a collaborare qualche mese prima. Inevitabilmente siamo tutti ripiombati nell’incubo di quegli anni».

Marcello viveva in località protetta, ma con il suo vero nome. Lo stesso fa lei e i suoi figli. Non avete mai chiesto di cambiare identità?

«Abbiano vissuto con un nome di copertura per alcuni anni.Esattamente fino all’agosto del 2007, mentre Mimmo (così chiamano Girolamo Bruzzese in famiglia) era in carcere e stava scontando la sua condanna.Avevamo documenti con nomi che non potevano ricondurre a noi, ma quell’estate io persi la patente e quando chiesi al servizio di protezione di averne un’altra non fu possibile. Mi dissero che non potevano fare un secondo documento. A me la macchina serviva per andare a lavoro, per questo ripresi la mia vera identità. Purtroppo il sistema ha delle lacune. Chi vive sotto copertura lo fa in case intestate al ministero degli Interni, non è possibile andare a curarsi nelle strutture pubbliche, e persino acquistare un’auto o mandare a scuola i ragazzi non è semplice.Alla fine si è costretti a tornare al vecchio nome e con quello scoprire dove viviamo e cosa facciamo è fin troppo semplice.Lo sanno a scuola dove iscriviamo i nostri figli, lo sanno sui luoghi di lavoro, lo sanno gli uffici pubblici e anche i vicini di casa. Sanno che in quegli appartamenti vivono testimoni e collaboratori. Su internet poi c’è praticamente tutto. Credo che abbiano trovato Marcello piuttosto facilmente.Perché, quando è venuto a vivere vicino a noi, come conseguenza anche la sua famiglia è tornata al nome d’origine. Se le cose non cambieranno in fretta, così come hanno trovato lui, possono risalire ad ognuno di noi».

Quindi sarete spostati di nuovo?

«Volevano farlo la sera stessa dell’omicidio. Ho chiesto io di restare per tentare di mantenere il lavoro. Anche due dei miei tre figli che si erano inseriti in alcune aziende si sono dovuti licenziare.Nessuno glielo ha chiesto, ma loro non voglio che altri corrano rischi. Spero di restare, ma non credo sia possibile, vedremo».

Dovrete ricominciare tutto da capo

«Temo di sì. Dovremo ripartire da zero, come 15 anni fa, quando i ragazzi avevano dai 5 ai 10 anni.Mio cognato Marcello diceva sempre che "la spera non muore mai". Lo diceva a noi, ai miei e ai suoi figli. Era un religioso praticante ed aveva tanta fede, la stessa che dovrà muovere i nostri futuri passi, nonostante le cose dette in questi giorni».

Cosa l’ha ferita di più?

«Quando hanno detto che siamo un peso e un rischio per la società, ho ripensato a mio padre ucciso in Calabria da innocente e mai riconosciuto vittima di mafia.Hanno anche affermato che Marcello folesse uscire dal programma di protezione, ma non è vero. Vede, a Pesaro siamo stati accolti bene per anni, ora però qualcuno inizia a dire che siamo ingombranti. Questo mi ha ferito molto, perché credo che noi tutti abbiamo diritto a una vita normale dopo aver pagato un prezzo che in tanti neppure immaginano. La nostra famiglia ha dovuto lasciare il lavoro, la casa, la terra e tanti affetti.Patrimoni che ci siamo guadagnati con sudore della fronte e che marciscono abbandonati. Abbiamo riunciato a tutto per stare dalla parte dello Stato. Ora vogliamo solo vivere in maniera decorosa e con le nostre forze, lontano da quel mondo che ha distrutto la nostra esistenza.Non chiediamo altro».

Lei ha sempre condiviso la scelta di suo marito. Ha rimpianti?

«Nessuno, sia io che Mimmo rifaremmo la stessa scelta. Stare dalla parte della giustizia è l’unica cosa possibile per un futuro che sia migliore per tutti. Mio marito sta finendo di scontare la sua pena per intero, senza alcuno sconto. Ha pagato il suo debito, lo ha fatto continuando a collaborare con la magistratura e mi auguro che molti altri seguano questa strada. Oggi se guardo al mio passato vorrei che scomparisse, ma so che non è possibile. La violenza e la morte non si cancellano. So che dovrò portare questo fardello. Nel nostro caso è andata come è andata, ma ai miei figli auguro la normalità. Se la meritano».

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